Appello a Facebook, “bambini indifesi, chiudete Messenger Kids”

La chat per i bambini non va bene. Un esercito di oltre 100 avvocati specializzati nell’infanzia, associazioni, medici ed esperti rivolgono un appello a Facebook: “Chiuda Messenger Kids“. Si tratta di un’applicazione lanciata appena un mese e mezzo fa negli Stati Uniti. Di fatto è una versione edulcorata e protetta della sorella maggiore Messenger, rivolta in particolare ai bambini dai 6 ai 12 anni. Ancora in fase di sperimentazione su iPhone e iPad, dovrebbe presto arrivare anche per Android e Amazon e consente ai genitori di tenere sotto controllo le sessioni di conversazione dei figli. Ma secondo l’appello quel programma è un rischio per la salute e lo sviluppo dei più piccoli.

COME FUNZIONA

Tramite Messenger Kids i genitori che hanno collegato gli account a quelli dei ragazzi possono gestire la lista dei contatti autorizzati a chattare con i figli. Ad esempio, se due bambini vogliono collegarsi fra loro, un genitore di entrambi deve concedere l’autorizzazione attraverso il suo profilo (i bambini non dispongono di un account). Fra l’altro, le conversazioni non possono essere cancellate o nascoste e nella chat non è prevista pubblicità né eventuali rilanci su altre app o possibilità di acquisto. Menlo Park l’aveva presentata poche settimane fa, spiegando che era frutto di un lungo lavoro di confronto con associazioni del settore come la National Parent Teacher Association, educatori e pedagogisti: “Abbiamo creato Messenger Kids nella convinzione che in definitiva sono i genitori a dovere decidere sull’uso delle tecnologie per i figli – scriveva appunto un mese fa Antigone Davis, responsabile della sicurezza di Facebook – e, in effetti, gli adulti che abbiamo interpellato hanno chiesto di potere esercitare un adeguato controllo sui messaggi inviati e ricevuti dalla propria prole”.

L’ALLARME: “PROTEGGIAMO I BAMBINI”

Non tutti, evidentemente. La Campaign for a Commercial-Free Childhood ha infatti raccolto una ventina di gruppi, fra cui il Common Sense Media and Public Citizen o il Media Education Foundation, lanciato una petizione e scritto una lettera (qui in .pdf) direttamente a Mark Zuckerberg, fondatore e Ceo della piattaforma. Un gesto che ricorda quello di pochi giorni fa da parte di un gruppo di azionisti di Apple, Jana Partners e California State Teachers Retirement System, che hanno chiesto a Cupertino un’indagine approfondita sulle conseguenze dell’uso dello smartphone fra i bambini. Secondo i sottoscrittori della lettera, i bambini non sarebbero preparati per gestire le relazioni online, “che spesso conducono a fraintendimenti e problemi anche fra gli adulti”, e mancherebbero di consapevolezza rispetto ai temi della privacy e dunque della condivisione di testi, immagini e video.

”TROPPO TEMPO SUGLI SMARTPHONE”

Non basta. L’appello cita una serie di recenti ricerche, come quella della psicologa Jean Twenge, riferimento del settore e al centro a sua volta di numerose prese di posizione sul tema, appena pubblicata su Clinical Psychological Science, che suggerirebbero un collegamento fra l’uso dei social network e tassi più elevati di depressione e suicidi fra i teenager, la lettera spiega che sarebbe irresponsabile da parte di Facebook proporre un simile servizio a bambini in età prescolare o quasi. In ogni caso, questo il punto, li spingerebbe ad aumentare il tempo che trascorrono di fronte a un display.

LA LETTURA DELLE EMOZIONI

“Gli adolescenti hanno già difficoltà a moderare il loro uso – si legge – il 78% controlla il telefono almeno ogni ora e il 50% dice di sentirsene dipendente. Quasi la metà dei genitori sostiene che toglierglielo dalle mani è una battaglia costante e Messenger Kids non farebbe che peggiorare questo problema. Inoltre, incoraggiare i bambini a traslocare le loro amicizie online influenzerebbe la loro propensione alle interazioni faccia a faccia”. Interazioni che, secondo le numerose sigle firmatarie, potrebbe danneggiare lo sviluppo di qualità e capacità cruciali come la lettura delle emozioni umane, la dimostrazione di gratificazione e il coinvolgimento concreto col mondo fisico.

Sono critiche a dire il vero non nuove e che anzi negli ultimi tempi stanno trovano un altro esercito a sostegno: quello di manager e importanti personaggi della Silicon Valley che, dopo aver lavorato in Facebook, sembrano all’improvviso averne scoperto rischi e pericoli. Ha per esempio fatto molto discutere l’uscita di Sean Parker, fondatore di Napster e primissimo presidente della piattaforma ideata da Zuck, lo scorso novembre: “Il social sfrutta le vulnerabilità psicologiche umane – ha spiegato, ricordando anche gli anni a cavallo fra 2004 e 2005 – solo Dio sa cosa sta succedendo al cervello dei nostri piccoli”.

Alla durissima richiesta della Campaign for a Commercial-Free Childhood (“chiudete Messenger Kids”) Facebook ha risposto che “continuerà a fare ogni sforzo per fare in modo che l’app costituisca il meglio per le famiglie”. A esporsi è stata di nuovo Antigone Davies, che è tornata a sottolineare come su Kids non ci siano inserzioni pubblicitarie, che i dati raccolti non saranno utilizzati in nessun modo e che i genitori che la stanno sperimentando sostengano che li aiuti a rimanere in contatto con i figli quando sono via o mentre stanno lavorando”. Senza contare, dice Davies, che Messenger Kids “è stato creato con un comitato di esperti di sviluppo e genitorialità così come con le stesse famiglie”.

La questione ruota intorno alla fatidica soglia dei 13 anni. Non ha alcun senso per il mercato europeo – o meglio, ce l’avrà a breve, con l’entrata in vigore a maggio del nuovo regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali, che prevede un limite a 16 anni modificabile appunto a 13 – ma è legata a una norma approvata vent’anni fa dal Congresso statunitense. Una norma, il Children’s Online Privacy Protection Act, alla quale tutti i fornitori di servizi online devono allinearsi per evitare di dover incorrere in incombenze più onerose nella raccolta dei dati dei minori. Messenger Kids è un modo per superare quel limite – una delle ambizioni di sempre di Zuckerberg, espresse il desiderio già in un convegno del 2013 in New Jersey – assegnando il controllo ai genitori. E allevando così una nuova generazione di utenti della piattaforma. Nulla garantisce, infatti, che in un secondo momento, per esempio al passaggio dei 13 anni, all’utente della nuova app non possa essere offerta la possibilità di trasformare la sua presenza in un vero e proprio account.

“Siamo in un momento cruciale e le compagnie tecnologiche devono decidere se comportarsi in modo etico e responsabile nei confronti dei bisogni dei bambini e delle famiglia o continuare a perseguire il profitto a spese del benessere dei più piccoli” ha tuonato Josh Golin, direttore esecutivo della Campaign for a Commercial-Free Childhood. Oltre a Sean Parker, contro il social network si sono schierati di recente altri ex manager del gruppo. Per esempio il 41enne Chamath Palihapitiya, che ne è stato anche vicepresidente con delega alla crescita degli utenti e ha detto di sentirsi “tremendamente colpevole” per la società che ha contribuito a costruire.

“Penso che abbiamo creato strumenti che fanno a pezzi il tessuto della società e il modo in cui funziona” ha spiegato alla School of Business di Stanford. Oppure un ex product manager, Antonio García Martínez, per il quale il sito californiano mentirebbe rispetto alle sue capacità di influenzare le persone. Ci ha scritto anche un libro sul tema, Chaos Monkey, in cui dà conto dei suoi anni alla corte di Menlo Park. (fonte)

You may also like...