Ex dipendenti di Google e Facebook, tutti contro i social e la dipendenza

Nel maggio 2016, Tristan Harris (ex designer di Google) pubblicava su Medium un lungo saggio intitolato “Come la tecnologia ti sta sequestrando il cervello”, in cui dimostrava come le piattaforme social e gli smartphone venissero progettati ispirandosi alle slot machine, con il deliberato obiettivo di creare dipendenza tra gli utenti.

Il lavoro di Harris non si è fermato a quel saggio: da un anno e mezzo porta avanti la sua battaglia affinché i colossi della tecnologia prestino maggiore attenzione alle conseguenze che i loro prodotti hanno sulla società. Una battaglia alla quale si sono uniti parecchi altri ex dipendenti di Google e Facebook – tutti estremamente critici nei confronti dei loro vecchi datori di lavoro – con i quali ha fondato il Center for Human Technology : “Eravamo all’interno di quelle compagnie e sappiamo cosa misurano, come parlano e come funziona il loro lavoro di progettazione”, ha spiegato Harris al New York Times.

Con il supporto dell’associazione no-profit Common Sense, il CHT promuoverà una campagna di lobby per convincere il governo ad affrontare il problema della dipendenza da smartphone e studiarne gli effetti. In più – grazie ai 50 milioni di euro donati da partner come Comcast e DirecTV – verrà lanciata una campagna pubblicitaria intitolata “La verità sulla tecnologia”, che sarà diffusa in 55mila scuole pubbliche in tutti gli Stati Uniti; con lo scopo di educare genitori, studenti e insegnanti sugli effetti che la tecnologia ha sulle menti dei più giovani (inclusa la depressione da social al centro di una lunga indagine dell’Atlantic).

Negli ultimi mesi i segnali d’allarme si moltiplicati: prima lo scandalo che ha coinvolto YouTube (colpevole di ospitare video per bambini decisamente inquietanti), poi la decisione di due importanti azionisti di Apple di chiedere che la società di Cupertino facesse uno sforzo maggiore per studiare gli effetti negativi degli smartphone sui più giovani, e infine un venture capitalist come Chamath Palihapitiya, tra i primi dipendenti di Facebook, che ha dichiarato che il social network “sta distruggendo il tessuto sociale”.

“I supercomputer più potenti del mondo si trovano all’interno di due sole compagnie: Google e Facebook”, ha spiegato ancora Tristan Harris. “E sono puntati direttamente sul cervello delle persone e dei bambini”. I toni allarmistici di Harris sono condivisi da una lunga serie di ex dipendenti dei colossi della Silicon Valley che hanno deciso di unirsi al Center for Human Technologies: Sandy Parakilas, ex operation manager di Facebook; Lynn Fox, ex dirigente di Apple e Google nel settore comunicazione; Justin Rosenstein, l’uomo che ha creato il tasto like – una delle componenti più importanti nella dipendenza da social – e molti altri ancora.

La campagna pubblicitaria che questi pentiti della Silicon Valley stanno progettando sarà modellata su quelle contro il tabacco o la guida in stato di ebbrezza, focalizzandosi però sui pericoli che gli smartphone comportano per i più giovani; considerato l’unico punto che può davvero fare presa e costringere Facebook, Google e gli altri a prestare più attenzione a come vengono progettate le loro piattaforme.

Per quanto i toni del CHT possano sembrare eccessivi e bigotti, la dipendenza da smartphone e social è un problema assodato; così come è dimostrato che questi servizi siano creati appositamente per tenere le persone incollate (basti pensare alla snapstreak di Snapchat che tra poco arriverà anche su Messenger). Chiedere ai colossi della tecnologia di prestare maggiore attenzione agli effetti che i loro software hanno sulla società, ed educare a un uso più consapevole degli strumenti tecnologici, è un passo necessario. (fonte)

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