”Allenare il cervello” con una app potrebbe essere inutile

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Quanti di voi ricordano la frase «per conservare la memoria occorre esercitarla, la Settimana Enigmistica ve ne dà la possibilità»? Se non vi dice nulla, le opzioni sono due: non avete mai sfogliato la rivista di Enigmistica più famosa d’Italia, oppure non avete esercitato abbastanza la vostra memoria. Nel corso degli ultimi dieci anni ai rebus e alle parole crociate si sono affiancate decine di applicazioni, prima sul Web o su console portatili, poi su smartphone e tablet, che attraverso esercizi matematici, linguistici o di acuità visiva promettono di mantenere il cervello giovane e, soprattutto, di proteggerlo dall’inesorabile avanzata dell’età. Sull’efficacia di simili soluzioni la discussione è ancora aperta, ma dopo anni di risultati contrastanti la comunità scientifica sembra essere giunta ad un parere condiviso.

BRAIN TRAINING

La prima ad intuire le potenzialità di un nuovo genere di software fu Nintendo, con il suo Brain Training del Dr. Kawashima : Quanti anni ha il tuo cervello?, un gioco del 2005 per la console portatile Nintendo DS che univa Sudoku, puzzle audiovisivi, esercizi mnemonici e audiovisivi finalizzati a migliorare le prestazioni intellettive con un uso sporadico di pochi minuti al giorno. Il gioco, che includeva anche un test per valutare la propria età cerebrale, ebbe un buon successo globale e ne furono distribuiti vari sequel e spin-off negli anni successivi. L’avvento dell’era mobile e del casual gaming su smartphone e tablet ha favorito lo sviluppo di nuovi prodotti che partono dallo stesso presupposto e promettono di tenere giovane e allenato il cervello grazie ad un impegno trascurabile e discontinuo.

Lumos Labs, nata del 2005 dall’idea di uno studente di neuroscienze stufo della vita da dottorando, è il caso di maggior successo. Il programma (a pagamento) e gli esercizi dell’applicazione che lo mette in pratica, Lumosity, si basano sul principio della plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di modificare le proprie strutture – anche in età più avanzata – a seguito di specifici stimoli esterni. Il richiamo a basi scientifiche è evidente sia nel caso di Nintendo, che arruolò addirittura il più eminente neuroscienziato giapponese usandone il nome nel titolo del gioco, sia nel caso di Lumos Lab. Ma se i papà di Mario Bros sono stati sempre attenti a promuovere il proprio software di brain trainingcome un “gioco utile e intelligente” e mai come un dispositivo medico, Lumosity si è spinta oltre e ha finito per pagare cara una strategia di marketing che dava per assodati dei principi che ad oggi non è possibile provare scientificamente.

LA PAURA FA VENDERE

All’inizio del 2016 Lumos Lab ha accettato di pagare 2 milioni di dollari per chiudere un contenzioso con la FTC, la Commissione Federale americana per il commercio, che accusava l’azienda di pubblicità ingannevole. Secondo Lumos Lab l’app Lumosity, usata dai 10 ai 15 minuti tre volte la settimana, aiuterebbe ad ottenere migliori risultati nei test d’intelligenza standard, a migliorare le prestazioni a scuola o al lavoro e, soprattutto, a rallentare il declino cerebrale legato all’età. L’azienda si è spinta fino a sostenere che il software sia efficace nella prevenzione di malattie degeneranti, con un battage distribuito su tutti i principali mezzi di comunicazione. L’app offre accesso gratuito ad un numero limitato di giochi e offre abbonamenti mensili (dai 6,70 ai 12 dollari) o a vita (300 dollari).

«Lumosity ha sfruttato la paura del declino cognitivo dei consumatori, suggerendo che i loro giochi possano limitare la perdita di memoria, la demenza senile e perfino l’Alzheimer» ha spiegato Jessica Rich, direttrice dell’Ufficio di Protezione del Consumatore della FTC. «[Lumosity] non ha le basi scientifiche necessarie a confermare quanto affermato nei propri spot». In altre parole Lumos Lab ha oltrepassato quella linea sottile che percorrono moltissime app concorrenti come Mind Games o Elevate (due fra le più famose), che magari fanno leva sulle stesse paure ma puntano su campagne di marketing meno dirette, sempre attente a non richiamare fondamenta scientifiche difficili da provare.

COSA DICONO GLI SCIENZIATI

A giudicare dalla multa della FTC la risposta da due milioni di dollari è che le app di brain traning non funzionano. O almeno, non c’è modo, oggi, di affermarlo con sicurezza scientifica. Ma cosa dicono i neuroscienziati a riguardo? Di studi sull’efficacia dei giochi per l’allenamento del cervello ne sono stati pubblicati tanti nel corso degli ultimi dieci anni, con risultati contrastanti, metodi contestabili, risultati difficilmente riproducibili.

Un’analisi comparativa e una revisione sistematica di 51 studi scientifici pubblicata su PLOS Medicine nel novembre del 2014 offre ad oggi la risposta più esaustiva e pone un punto fermo sulla questione: i giochi di brain training possono avere qualche lieve effetto nel migliorare le prestazioni mentali di un adulto, ma solo nel caso che i test vengano condotti con metodo e supervisione. Non c’è una sistematicità, insomma, e i risultati variano troppo in funzione del tipo di esercizio per poter dire con sicurezza che l’allenamento cognitivo sia efficace.

«L’allenamento cognitivo computerizzato è lievemente efficace nel miglioramento delle prestazioni cognitive degli adulti di età avanzata in buona salute» si legge nelle conclusioni dell’articolo. «L’efficacia varia a seconda del dominio cognitivo ed è largamente determinata da scelte progettuali. L’allenamento casalingo privo di supervisione e l’allenamento per più di tre volte a settimana sono specificamente inefficaci». Una conclusione che, fuori dal gergo scientifico, sembra dare ragione agli scettici. Le app di allenamento cognitivo fai-da-te, privo di supervisione professionale, non funzionano.

Un risultato anticipato di poco dal parere di 70 neuroscienziati che nell’ottobre del 2014 avevano espresso analogo consenso in un parere pubblicato dallo Stanford Center of Longevity in associazione con il Max Planck Institute per lo Sviluppo Umano. App come Lumosity, dicono gli scienziati con una terminologia da cui la FTC ha preso ispirazione, sfruttano la paura della perdita di memoria e dell’agilità cerebrale tipica della mezza età. E, aggiungono, non è detto che l’esecuzione di un esercizio non porti in effetti un miglioramento, ma è difficile, se non impossibile, provare che quel miglioramento si possa estendere ad altri campi di interazione del soggetto.

In altre parole, esercitarsi nei giochi di brain training migliora le proprie capacità nella risoluzione dei giochi stessi, come accade del resto ad un videogiocatore che prende confidenza con un nuovo videogame, con la differenza che in quel caso il divertimento che ne deriva è il fine ultimo del soggetto. Nessuno pretenderebbe di diventare la stella del calcetto del sabato dopo aver vinto un torneo di Fifa, insomma, o di saper guidare un esercito dopo aver condotto l’ennesima campagna di successo di Age Of Empire. Il miglior modo per mantenere attivo il cervello è condurre una vita ricca di attività stimolanti da un punto di vista sociale e intellettuale, e di non trascurare l’attività fisica. «Se un’ora spesa a risolvere dei test software è un’ora che non passerete facendo una passeggiata, imparando l’italiano, preparando una nuova ricetta o giocando con i nipotini» concludono gli scienziati, «allora non ne vale davvero la pena». (fonte)

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