Così ti rubo l’identità

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Ventiseimila persone si sono fatte scippare in modo virtuale, facendosi rubare non la «carta», ma la propria«identità». Duecento milioni di euro il costo totale delle «fregature» correlate. È il preoccupante bilancio del 2013 che vede gli italiani massicciamente esposti al furto dei propri dati personali e al successivo loro impiego fraudolento.

L’incremento dell’8,3% rispetto l’anno precedente è stato rilevato da CRIF, la società che – con una serie di archivi in cui confluiscono informazioni relative a soggetti e imprese – fa da bussola per il sistema creditizio e assicurativo. La radiografia – che permette di riconoscere una capillare distribuzione del fenomeno su tutto il territorio nazionale – è ancor più inquietante se si pensa che il Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2011 aveva approvato il decreto legislativo che istituiva un sistema pubblico di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo, con riferimento al furto di identità di persone fisiche o giuridiche. Lo sforzo per evitare brutte sorprese non è servito e ogni giorno i nostri connazionali sono esposti al rischio di vedersi «sostituiti» da qualche malfattore.

NEL MONDO 

L’utilizzo indebito di dati personali e la sostituzione di persona non sono una preoccupazione solo «tricolore». Secondo il «Department of Justice» statunitense, il numero delle vittime da furto d’identità è salito oltreoceano a 13,1 milioni nel 2013, con una perdita in termini economici di 18 miliardi di dollari. In Inghilterra, a leggere il CIFAS Fraudescape Report del 2014, i crimini correlati alla “sottrazione” di dati personali hanno rappresentato più del 60% delle frodi denunciate nell’ultimo anno. I numeri? Più di 129.500 le vittime, oltre 3 miliardi e 300 milioni di sterline la perdita economica.

I MECCANISMI 

Se il «furto di identità» fosse un’automobile, è legittima la curiosità di guardare cosa ci sia dentro il cofano. Il motore di questa condotta illecita è l’acquisizione indebita di dati, informazioni e notizie su un malcapitato in cui i moderni banditi decidono di immedesimarsi. Tempo fa la Squadra Mobile di Cuneo ha arrestato Mile Duretovic, macedone, classe 1965. Per sette anni ha vissuto la vita di un turista cileno che era venuto in vacanza a Roma, diventando Hamedeo Ernandez Herrera Grossi e facendo ricadere su quest’ultimo tutte le malefatte combinate in giro per l’Italia. Gli stessi sbirri hanno acciuffato il 44enne Mario Colak, rom proveniente dall’ex-Jugoslavia, che dal 2004 fingeva di essere Ariel Gustave Abramovich (cittadino italiano ma nato in Argentina) e sfruttando tali generalità aveva acquistato autovetture e ottenuto patente e carta di identità.

Questa abilità spiega come possa capitare di ricevere una raccomandata o un’ingiunzione di pagamento a proprio nome per un prestito o un mutuo che l’interessato non ha mai richiesto. È quello che è accaduto ad una signora del Marocco in Italia da 15 anni. Sposata con un italiano e madre di 2 bambini, lavora da 9 anni a questa parte presso una cooperativa, svolgendo mansioni di pulizia in una Asl del Nord. Non ha mai avuto bisogno di richiedere somme di denaro ai vari istituti di credito fino al giugno 2011, quando ha dovuto cambiare casa e firmare un prestito per rinnovare l’arredo. L’importo le viene rifiutato dalla banca, che le giustifica il diniego presentandole un documento in cui risulta cattiva creditrice per alcuni ritardi nei pagamenti in uno dei due finanziamenti: un primo di 12.000 euro regolarmente pagato e un altro di 18.500 euro in cui risultano insoluti nelle rate. La donna domanda copia dei contratti ai due istituti finanziari ed emerge che i dati corrispondono a lei, ma la firma, come anche il codice Iban e la residenza, sono diversi. Il legale si adopera per depositare una denuncia in Tribunale per falsificazione di documenti fiscali e amministrativi. Solo a fine 2013 si arriva alla cancellazione dei suoi estremi creditizi negativi nella Centrale Rischi e l’incredula signora riesce ad ottenere così a febbraio 2014 il suo prestito.

L’INFERNO DI INTERNET

Se una buona fotocopiatrice o un valido programma di fotoritocco possono fare miracoli e consentire la produzione di documenti fasulli, il peggiore spauracchio resta la Rete dove non ci si presenta ostentando passaporti o altre carte ufficiali. Su Internet lo sport del cosiddetto “identity theft” ha rilievo olimpico e il reato assume una configurazione internazionale che complica l’esistenza di chi vuol fare valere i propri diritti.

Molto sovente i malandrini non devono rubare alcunché perché siamo stati noi stessi a pubblicare sul web foto e informazioni sul nostro conto.  (fonte)

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