Ogni tre minuti il tuo smartphone fa sapere ad altri dove sei

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Geolocalizzazione, uno studio della Carnegie Mellon University in Usa ha accertato che le applicazioni sugli smartphone condividono le nostre informazioni anche quando non è necessario.

SAPEVAMO di essere tracciati costantemente, da quando portiamo in tasca lo smartphone con il gps. È uno degli spiacevoli effetti collaterali della geolocalizzazione con cui dobbiamo fare i conti. Scoprire però che le applicazioni che abbiamo installato trasmettono la nostra posizione 358 volte al giorno, quasi ogni tre minuti, fa una certa impressione. Eppure è così, conviviamo con il Grande Fratello e siamo stati noi ad autorizzarlo. Lo hanno accertato i ricercatori della School of Computer Science della Carnegie Mellon University. Lo studio è nero su bianco, non ci sono dubbi.

Il team della Carnegie Mellon ha installato App Ops per Android sugli smartphone di 23 volontari, che sono stati monitorati per qualche settimana. Il software è in grado di monitorare l’accesso ai dati personali di ogni applicazione. Il test ha confermato che le informazioni sono state condivise 385 volte al giorno, anche se non era proprio necessario. È il caso della app di Groupon. Che bisogno c’è di condividere la geolocalizzazione dell’utente? Eppure in una settimana lo ha fatto più di mille volte. Altri esempi: la posizione dei partecipanti all’esperimento è stata condivisa 5.398 volte in due settimane con Facebook, GO Launcher EX e altre sette applicazioni.

“Mi ha dato l’impressione di essere letteralmente braccato dal mio telefono. È davvero spaventoso, queste cifre sono troppo alte”, ha detto uno dei ventitré volontari.

Al di là dei numeri, è sconcertante la mancanza di trasparenza da parte dei proprietari delle applicazioni prese in esame. La stragrande maggioranza delle persone che usano uno smartphone non sa che le app svolgono questa attività in background. La seconda fase del test si è svolta con questa nuova consapevolezza. I volontari, avvertiti degli effetti della geolocalizzazione, si sono mostrati più attenti e infatti hanno negato 272 richieste di autorizzazione alla condivisione dei dati da parte di 76 diverse applicazioni.

Era proprio questo lo scopo della ricerca, far sapere agli utenti che si possono limitare i danni della pervasività di strumenti tecnologici di uso quotidiano, come i dispositivi mobili di nuova generazione. Non è facile, perché non tutti sanno come fare a modificare le impostazioni di privacy delle applicazioni.

Anche questo è un problema di alfabetizzazione digitale. Davvero l’alternativa è il ritorno al passato, ai vecchi cellulari che telefonavano e basta ma impedivano di condividere informazioni e immagini? Molti protagonisti del mondo dello spettacolo stanno facendo così, ma allo smartphone ormai non si può rinunciare e dunque siamo costretti a imparare a usarlo meglio, come suggeriscono i ricercatori della Carnegie Mellon. (fonte)

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