Facebook è pieno di bambini e nessuno si preoccupa

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Numeri di questo tipo sono molto rari. Ecco perché quando ne saltano fuori è fondamentale diffonderli. Per dare l’idea di quanto e sempre, nonostante le famose “fughe verso Snapchat”, Facebook rimanga un territorio popolato da bambini. Piccoli e piccolissimi, per così dire, “non accompagnati”.

Le regole – mutuate dalle leggi statunitensi, e già su questo dovrebbe aprirsi un dibattito serio – indicano 13 anni come età minima per l’iscrizione al social network, tranne rare eccezioni. Eppure, su una piattaforma che non prevede alcun controllo se non la propria “autocertificazione”, i bambini si muovono agilmente spesso con la sciocca complicità dei genitori. Mentendo pur di accedere alle bacheche. Uno degli ultimi studi, ormai decisamente vecchi, parlava di 7,5 milioni di under 13. The Atlantic riporta ora alcune indagini più ristrette ma tuttavia statisticamente significative pubblicando un estratto del libro The Cyber Effect di Mary Aiken.

Una ricerca svolta in 22 Paesi europei fra 2011 e 2014 racconta per esempio che un quarto dei bambini fra 9 e 10 anni e la metà di quelli fra 11 e 12 usano Facebook. Questo significa, secondo i dati, che quattro su dieci inseriscono un’età diversa. Un’altra, stavolta negli Stati Uniti, indica invece in un quarto dei bambini la porzione di chi bara (ma muove da un campione rappresentativo di soli 442 piccoli fra gli 8 e i 12 anni). Insomma, i numeri sono scarsissimi e le ricerche complesse ma un dato sembra chiaro: i social network (su Instagram il discorso cambia poco) sono pieni di piccoli. Aiken li chiama “gli invisibili”.

Il punto, in effetti, è piuttosto chiaro. Per le piattaforme quello dei bambini non sembra un problema particolarmente significativo. O meglio, non sembra un problema la necessità di pensare una procedura di accesso più stringente. Basti pensare all’intelligenza artificiale e alle sue opportunità, fra le quali il riconoscimento facciale. In effetti gli utenti-bambini tendono a collegarsi ai loro coetanei, non lesinano foto e video in cui appaiono in tutta la loro età, affrontano certi argomenti e seguono certe pagine. Insomma, ci sarebbero tutti gli estremi per individuare almeno a campione gli account di questo tipo e sottoporli a una verifica, per esempio chiedendo un documento o una certificazione dei genitori, magari collegando gli account di questi ultimi, se ne dispongono.

Dal cyberbullismo (per combattere il quale Aiken propone anche l’uso di un algoritmo in grado di identificare l’escalation dei contenuti aggressivi) ai suicidi, dallo stalking all’adescamento online, Facebook ha sfoderato nel corso degli ultimi anni numerosi progetti e strumenti, oltre che un impegno costante. Le iniziative non si contano. Esiste anche un meccanismo per segnalare un profilo che si crede possa appartenere a un under 13.

Il problema è che tutto ciò muove da un peccato originale che nessuno sembra voler risolvere: gli obiettivi di quelle azioni, sul social network di Menlo Park così come sugli altri, non dovrebbero trovarcisi. Punto. Un paio di anni fa Simon Milner, policy director del social per Regno Unito, Medio Oriente e Africa aveva spiegato al Guardian che la piattaforma “non ha una soluzione per sradicare il problema”. Tre anni più tardi non sembra che sia cambiato molto. In fondo, anche quella è utenza, spesso più attiva e ambita di altre fasce anagrafiche. (fonte)

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