Cambridge Analytica, uno scandalo per Facebook che dovrebbe preoccupare anche te

Le rivelazioni del whistleblower Christopher Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica hanno il potenziale di diventare uno dei maggiori casi giornalistici degli ultimi anni. Lo scoop, pubblicato negli ultimi giorni dall’Observer e dal New York Times dopo mesi di verifiche e trattative con la fonte, tiene infatti insieme diversi temi molto dibattuti sul rapporto tra tecnologia e democrazia.

Cambridge Analytica, sostiene Wylie con il sostegno di dati fattuali e documenti vagliati dai giornalisti, avrebbe sfruttato i dati personali di oltre 50 milioni di utenti di Facebook al fine di targetizzare e ottimizzare al massimo la portata della propaganda politica della campagna Trump in occasione delle ultime elezioni Usa. Secondo quanto emerso, questi dati sarebbero stati raccolti senza la consapevolezza degli utenti e in modi che violano le condizioni di utilizzo di Facebook, che ha nel frattempo vietato l’azienda dall’accedere alla sua piattaforma, insieme ad altre diverse persone coinvolte nel caso, compreso lo stesso Wylie.

Il problema non è Trump: il problema sono i tuoi dati

Cambridge Analytica avrebbe utilizzato infatti un’applicazione apparentemente innocua e non politica, thisisyourdigitallife, scaricata da oltre 270mila persone, per accedere ai dati di questi e a quelli dei loro contatti su Facebook, fino a raccogliere a strascico le informazioni di un bacino di utenti grande sostanzialmente quanto la popolazione della Spagna.

L’app era stata presentata a Facebook e agli utenti come uno strumento di ricerca la cui raccolta dati sarebbe servita per fini accademici. In realtà quei dati sarebbero poi stati utilizzati per quello che Wylie ha definito, nella sua intervista con il Guardian, “giocare con la psicologia di un intero Paese, senza il suo consenso né la sua consapevolezza”. E in ultima analisi, per sostenere la campagna di Donald Trump e la sua propaganda targetizzata sui social.

Delle potenzialità di Cambridge Analytica si dibatte da diverso tempo e le rivelazioni, giunte tramite un whistleblower, stanno confermando sospetti, dubbi e timori sulla base di elementi di evidenza che fin qui non erano ancora trapelati. Facebook, in particolare, sarebbe stata a conoscenza dell’utilizzo illegittimo dei dati dei suoi utenti dal 2015 e avrebbe richiesto la cancellazione di questi un anno dopo ma, come scrive il New York Times, copie di questi dati sarebbero ancora disponibili e fuori dal controllo di Menlo Park.

In ogni caso, gli utenti non erano stati informati pubblicamente di quanto avvenuto fino ad ora. Parlando davanti a una commissione del Parlamento inglese, invece, Cambridge Analytica aveva negato di operare sulla base di dati presi da Facebook e di essere in possesso di dati di questo genere.

Utilizzare dati Facebook al fine di targetizzare la propaganda politica non è di certo un’invenzione di Cambridge Analytica e Facebook è diventato uno dei terreni più importanti per la comunicazione politica. Il caso Cambridge Analytica solleva certamente numerose problematiche e, per la prima volta, espone i meccanismi, ben oltre i limiti della legittimità in questo caso, di come questo tipo di attività possono essere estremizzate.

Sarebbe un errore fare di Cambridge Analytica un caso isolato. Nel 2012, quello che fece Obama con le API di Facebook per fare microtargeting per la sua rielezione, è sostanzialmente il medesimo approccio di Cambridge Analytica, come ha ricordato su Twitter la ricercatrice e firma del New York Times Zeynep Tufecki. La differenza evidente è nel fatto che la raccolta di dati in questo caso è stata fatta in modi oscuri e sfruttando, volontariamente, l’effettiva impossibilità degli utenti di capire cosa stesse accadendo ai loro dati e utilizzando quanto raccolto per scopi non dichiarati. Le app usate nel 2012 era esplicitamente politiche e riguardavano Obama. Le dinamiche in gioco, però, sono simili.

Il caso Cambridge Analytica, quindi, è destinato a dare un contributo enorme al dibattito su questi temi, soprattutto grazie al coraggioso atto di whistleblowing di Christopher Wylie, che ha portato in superficie elementi fondamentali per comprendere i meccanismi di questo sistema. Ma occorre evitare di commettere l’errore di bollare come “preoccupante” quando accaduto solo per via del coinvolgimento di Trump e perché il tutto avviene nel contesto, a sua volta fumoso e complesso, della possibile influenza russa nelle elezioni Usa.

Quello di Cambridge Analytics non è un caso esclusivamente politico e va ben oltre gli attori politici coinvolti e ha significanza ben più ampia di trovare una ragione per la quale ci sia Trump alla Casa Bianca. Al contrario, getta luce su un sistema, su un modello di business e sul potere – i dati – su cui questo si basa e su come questo può essere esercitato.

Cambridge Analytica ricorda quali sono le peculiarità di una società, online e non, costruito attorno alla sorveglianza e al sistematico sfruttamento delle nostre informazioni personali: con incidenza sempre crescente quello che era un modello di marketing – il “surveillance capitalism” – è ora e da diversi anni anche un’arma pratica di persuasione politica. Con inevitabili ripercussioni etiche più severe.

Lo snodo è la trasparenza

Lo snodo è la trasparenza e il controllo che gli utenti (non) hanno sulle loro informazioni una volta che queste finiscono sotto le lenti di Facebook che, vendendo targettizzazione ai suoi clienti, la mette a disposizione di chiunque voglia sfruttare la sua piattaforma e quanto questa conosce chi la abita, oltre a farlo essa stessa per prima.

I possibili usi terzi di questi dati sono una zona grigia fatta di brookeraggio di dati, applicazioni che accedono a molto più di quello di cui hanno bisogno per funzionare e ben poca consapevolezza da parte degli utenti. In mezzo Facebook, che può raccogliere molto di quanto gli cedano gli utenti volontariamente che, in questo caso specifico, ha anche peccato di poca trasparenza e leggerezza nel gestire la situazione. Il risultato sono nuove scatole nere che governano la nostra vita online e significano potere e controllo sempre più accentrato: non ci sono termini di utilizzo da leggere in carattere 5 che possano davvero proteggere i nostri dati. A un qualche punto della filiera essi verrano sfruttati e spremuti per finalità che non sono sotto il nostro controllo.

Il leak di Cambridge Analytica potrebbe essere un punto di svolta fondamentale in questo dibattito. E come talea andrebbe colta. Al momento, a pagare le conseguenze sono stati i messaggeri: Channel 4 ha denunciato pressioni da parte di Cambridge Analytica per fermare la messa in onda di un suo servizio; Christopher Wylie, invece, è stato bannato da Facebook… (fonte)

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