Facebook, apologia di fascismo per foto Mussolini

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E’ successo a Udine: viene imputato di apologia di fascismo per aver pubblicato su Facebook una foto di Mussolini. Alla ricerca di “Mi piace”, aveva invitato i “veri fascisti” a cliccare e condividere. Ma una segnalazione anonima ha fatto finire il caso sul tavolo della Procura di Udine.

Lo riporta il quotidiano Il Piccolo

Qualcuno dei suoi “amici” di Facebook, alla vista di quella foto, con Mussolini in divisa e con il braccio destro in posa di saluto romano, dev’essere sobbalzato. E allora, per sdegno o per dispetto, ha preso carta e penna e lo ha segnalato alla Polizia postale.

Comincia così la disavventura giudiziaria in cui è incorso, a sua completa insaputa, un friulano di 39 anni che, da ieri, rischia un’imputazione per apologia del fascismo.Il caso risale al 2 luglio 2014, quando un ignoto navigatore del web, scaricata l’immagine dal “Diario” di un utente di Fb, ne diede notizia alla polizia. Accanto alla foto del Duce, definito “Il fondatore dell’impero fascista”, il post recitava “Ogni vero fascista davanti a questa foto clicca Mi piace e Condivide!».

Nè più, nè meno dei tanti messaggi del genere veicolati on-line, insomma, e fatto proprio da chissà quanti altri nostalgici del Ventennio. Ma destinato ora, forse tra i primi in Italia, a fare discutere.

Gli accertamenti permisero in breve di risalire all’identità del titolare del profilo e di trasmettere la segnalazione alla Procura, specificando trattarsi di un presunto caso di “Diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale – incitamento alla discriminazione”. L’atto finì sul tavolo del pm Marco Panzeri, che sulla vicenda aprì un fascicolo a carico di ignoti. Prima di potere formulare qualsiasi ipotesi di reato nei confronti di chicchessia, infatti, al magistrato servivano conferme e riscontri ufficiali.

Ed è a questo punto che la macchina investigativa s’inceppa. Individuata in “Facebook Inc.” l’unica fonte in grado di fornire con certezza il nome di colui che aveva postato quella foto, il pm dispose l’acquisizione degli Ip relativi al neoprint dell’utente proprio presso l’azienda americana.

Ma la risposta giunta in settembre da oltreoceano assestò una battuta d’arresto alle indagini. «In conformità alla propria normativa di riferimento e secondo la propria policy aziendale – scrissero i responsabili di Fb agli investigatori friulani –, fornisce le informazioni richieste solo producendo una rogatoria internazionale o una mutua assistenza legale dagli Stati Uniti».

Rimasto così arenato per qualche mese, il 16 marzo scorso il procedimento aveva imboccato la via dell’archiviazione. Ieri, l’inattesa svolta. Ritenendo comunque sussistere elementi per l’identificazione del responsabile, il gip del tribunale di Udine, Daniele Barnaba Faleschini, ha ritenuto di non accogliere la richiesta del pm e di disporre l’imputazione coatta per l’ipotesi prevista all’articolo 4, comma 2 della legge 645/52.

La legge Scelba, insomma, che sanziona, tra l’altro, «chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche». Anche attraverso i social network. (fonte)

Per approfondire e capire

Nell’ordinamento italiano, l’apologia del fascismo è un reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione”), anche detta Legge Scelba.

La “riorganizzazione del disciolto partito fascista”, già oggetto della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, si intende riconosciuta, ai sensi dell’art. 1 della citata legge,

« quando un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista. »

Art. 4. (Apologia del fascismo) – Chiunque, fuori del caso preveduto dall’art. 1, pubblicamente esalta esponenti, principii, fatti o metodi del fascismo oppure le finalita’ antidemocratiche proprie del partito fascista e’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire 500.000.
La pena e’ aumentata se il fatto e’ commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda. La condanna importa la privazione dei diritti indicati nell’art.
28, comma secondo, n. 1, del Codice penale per un periodo di cinque anni.

La legge n. 645/1952 sanziona chiunque promuova od organizza sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.

È vietata perciò la ricostruzione del PNF e del Partito dei Nazionalsocialisti (ossia quello nazista). Ogni tipo di apologia è punibile con un arresto dai 18 mesi ai 4 anni.

La norma prevede sanzioni detentive per i colpevoli del reato di apologia, più severe se il fatto riguarda idee o metodi razzisti o se è commesso con il mezzo della stampa. La pena detentiva è accompagnata dalla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. (…)

Circa l’art. 4, la Corte Costituzionale presieduta da Enrico De Nicola (già Presidente della Repubblica) negli anni 1956-57 si soffermò invece a meglio definire la fattispecie delittuosa, segnalando che il reato si configura allorquando l’apologia non consista in una mera “difesa elogiativa”, bensì in una «esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista», cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente».

Ritenne perciò la Corte di non ravvisare alcuna violazione delle disposizioni contenute nell’art. 21 della Costituzione, sebbene la motivazione vada dedotta dall’accento posto sul carattere di istigazione dell’apologia e di fatto, come in seguito fu criticamente osservato, si limitò a “glissare” sulla questione di fondo. (wiki)

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