Arianna: «I violenti dei social sono nelle nostre case, così li denuncio»

arianna-violenti

Arianna Drago (cognome materno) a breve compirà 26 anni. Consulente informatica di Cesano Boscone, il 14 gennaio scorso ha denunciato apertamente l’esistenza di gruppi privati in cui gli uomini pubblicano foto «di ragazze normalissime», ritratte «in viso, o alla loro festa di laurea, o intente a fare shopping». Scatti che vengono accompagnati da commenti osceni, dove si immagina ogni forma di violenza sessuale possibile contro le donne. Ignare di tutto.

Un post da migliaia di condivisioni, dal quale la rete di Mark Zuckerberg ha rimosso alcune denunce a corredo, fino a giovedì 19 gennaio. Quando il caso è stato riportato all’attenzione dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che ha accusato Facebook di censurare chi denuncia un pericolo e non i colpevoli del cosiddetto «stupro virtuale», sempre più pervasivo. «Ho scoperto l’esistenza di questi gruppi pochi giorni fa, grazie a una mia amica, Camilla, che ha contribuito a diffondere il blog del “maschio beta”», racconta inorridita Arianna al Corriere. Ora il messaggio è stato ripristinato con tanto di scuse, ma la ragazza non può ancora utilizzare il suo profilo perché quella «punizione» di 24 ore non è stata ritirata.

Mariti, parenti, amici autori delle violenze in rete

Senza pensarci troppo, la ragazza ha così deciso di denunciare il fenomeno: «Ho chiesto alla mia amica di rendermi ancora più partecipe di questo orrore, dato che lei era a conoscenza di una rete di donne che stava già approfondendo la tematica». Sin dal principio la «nostra rivolta» si è fondata «sul passaparola». Sapendo di avere una buona risonanza sui social, Arianna ha scritto un post che nel giro di qualche ora è diventato virale. «Ne ho parlato anche in privato con tante persone; una di queste, il mio amico Carlo, mi ha suggerito di cercare ausilio nella presidente della Camera, Laura Boldrini». Di fondo, Arianna non si è mai schierata a favore delle donne piuttosto che degli uomini: «Credo nella civiltà umana a prescindere dal genere. Credo nella società che si compone di famiglie e di comunità. L’unico motivo per cui mi sono lasciata trasportare da questa lotta è stato scoprire che gli autori di queste pubbliche derisioni e di questi atteggiamenti sconvolgenti fossero mariti, parenti, amici».

Accendere i riflettori

Sono troppe le donne che rientrano a casa, guardando negli occhi uomini che amano e dei quali si fidano, senza sapere che «dietro uno schermo questi fanno uso della loro immagine per scopi abbietti. Ho pensato a quante ragazzine la sera escono con i loro compagni di classe, quando invece loro, magari per scherzo o per farsi vanto con altri maschi, diffondono le loro fotografie». E da un uso «ingenuo della rete», senza sapere di avere tutta questa responsabilità, Arianna ha acceso i riflettori — attraverso i social che tutti utilizzano — su un fenomeno che si sviluppa in modo silenzioso e per il quale non esistono ancora strumenti di contrasto effettivi.

«Per molti fenomeni logoranti spesso non si riesce a ottenere nulla»

Il gesto di Arianna ha avuto consensi non solo da personaggi pubblici ma soprattutto dagli utenti della rete. «Ho ricevuto molti messaggi. Centinaia e centinaia a settimana. La maggior parte delle persone mi ringraziava per essere riuscita ad agire, altre mi hanno criticata per non aver reso noti i nomi. Altre, infine, mi hanno ricordato che al mondo esiste pure il contrario del femminicidio, e che nessuno parla mai delle sofferenze degli uomini». Ad ogni modo la rete ha reagito, e questo è l’importante. Certo, sottolinea, «Facebook deve affinare le sue tecniche di controllo dei contenuti». C’è censura immediata per chi utilizza un nickname piuttosto che il suo nome, per chi pubblica immagini politiche, vengono fatte sparire foto di nudo anche se artistiche,«ma per molti altri fenomeni più espliciti e logoranti spesso non si riesce a ottenere nulla». Il prezzo per chi decide di essere online è ancora troppo alto e molti finiscono per abbandonare la rete, limitare la propria libertà, solo per paura di incorrere nei pericoli del web. «Ho sentito tante persone rinunciare a priori a una denuncia, cedendo al “tanto non servirà a niente”», racconta Arianna (come spiegano i dati dell’Istituto Toniolo raccolti in vista dell’evento Parole O—Stili del 17 e 18 febbraio prossimi, a Trieste). «Penso sempre che l’unica soluzione ai problemi del mondo risieda nell’educare», conclude, sentendosi «portavoce di qualcosa più grande di me».

Le «scuse» di Facebook

«Facebook non tollera contenuti di odio, di razzismo o di appelli alla violenza. Rimuoviamo i contenuti che minacciano o promuovono violenza o sfruttamento sessuale, inclusi lo sfruttamento sessuale di minorenni e le aggressioni a sfondo sessuale. Abbiamo creato degli strumenti, intuitivi e facili da usare, che permettono agli utenti di segnalare i contenuti che a loro giudizio violano gli Standard della Comunità di Facebook», sottolineano i vertici dell’azienda di Menlo Park. Questi strumenti, come anche gli Standard della Comunità, «vengono costantemente rivisti e aggiornati sulla base della collaborazione con esperti del settore, per far sì che la nostra comunità possa essere al sicuro». Sono stati rimossi tutti i gruppi che attaccano le donne che violavano gli Standard della Comunità, mentre «abbiamo accertato che il contenuto pubblicato da Arianna Vilya Drago è stato rimosso per errore, e pertanto è stato ripristinato. Ci scusiamo con gli interessati per qualsiasi disagio causato». (fonte)

You may also like...