Come si parlava di Facebook quando qui non c’era Facebook

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C’è stata un’epoca – neanche tanto lontana – in cui la parola “social network” non voleva dire nulla. Nulla di preciso, quanto meno. Facebook esisteva solo oltreoceano, Twitter era appena nato e l’avanguardia erano ancora l’account MySpace e un profilo Hotmail. A distanza di dieci anni, abbiamo fatto un salto indietro per curiosare negli archivi del web, alla ricerca di risposte alla domanda: ma quando è arrivato Facebook, ci siamo accorti di quello che stava succedendo?

Era il 2006 quando dalla stampa statunitense arrivarono le prime notizie sulla creatura di Mark Zuckerberg. In Italia Facebook non era ancora sbarcato, e così di articoli che se ne occupano se ne trovano pochi. Il primo problema, per gli autori di questi pezzi che oggi possiamo definire pionieristici, era di natura descrittiva. Il 17 ottobre 2006 sul sito del Corsera si legge un profilo dei più ricchi del mondo tech in cui fa la sua comparsa anche il 22enne Mark Zuckerberg. È uno dei primi tentativi della stampa generalista online di spiegare Facebook, che all’epoca aveva circa 8 milioni di utenti, quasi tutti studenti universitari. Facebook, si legge, è un “network sociale alla MySpace”, e tanto basta.

Cinque mesi dopo, sempre su Corriere.it, si constata con un certo sconcerto che “oltre la metà dei giovanissimi internauti americani fa uso dei siti di social networking come MySpace o Facebook”. In questi primi incontri per nulla ravvicinati con Facebook ci si accontenta di descriverlo come un “social network”, importando la formula dagli Stati Uniti. L’accostamento a MySpace è l’alibi perfetto per chi, in fondo, questo sito che piace tanto agli studenti americani non l’ha ancora potuto vedere né tanto meno provare.

Il primo tentativo di andare oltre si rintraccia nell’estate del 2007, quando Repubblica.it dedica un articolo agli studenti di Oxford in rivolta perché l’ateneo li spia sul web. E dove, per la precisione? Su “uno dei siti-piazza più amati dagli universitari”, ovvero Facebook. A quel tempo il social aveva conquistato anche l’Europa, e aveva una manciata di iscritti anche in Italia. Ma per la maggior parte dei lettori “Facebook” rimaneva una parola priva di significato: impossibile sottrarsi alla necessità di descriverlo. Ma come? “Facebook – si legge – è l’equivalente internettiano di una città con tanti “muretti”: un luogo dove ci si presenta, ci si ritrova, si resta vicini agli amici, si flirta, ci si scambia esperienze e sciocchezze, si raccontano pettegolezzi e ci si invita ai party”. Gli ingredienti essenziali del social ci sono tutti: il gossip, le sciocchezze, il flirting e persino gli inviti ai party, prima avvisaglia degli ormai persecutori inviti agli eventi.

È l’inizio di una nuova stagione. Nell’agosto del 2007 il Corsera riporta che Facebook è “il social networks (sic) oggi più di moda”. A settembre, sempre sul Corriere, Facebook è definito l’“anti-YouTube”, chissà perché, e poi descritto come “un sito di condivisione di foto, file e relazioni di amicizia”. Ma c’è anche chi osa fare previsioni sul suo futuro. Nel novembre del 2007 un sito specializzato scrive che la creatura di Zuckerberg è “in scarsa competizione con MySpace” a causa del suo “tono decisamente più serioso”. Con il senno di poi è facile guardare con sufficienza a questa profezia tragicamente sbagliata: ora sappiamo che MySpace ha perso – e di molto – la gara con Facebook, ma all’epoca non era così chiaro. Quel che invece era chiaro fin da subito erano le potenzialità del “libro delle facce” nell’ambito sentimentale: ecco che alla fine del 2007 la Stampa online si butta sulla questione dedicandogli un articolo intitolato “Basta parlare, l’amore si trova su Facebook”, anticipatore di un filone che sarà poi fortunatissimo.

Il 2008 inizia con un articolo di Repubblica che spiega tutto, e molto bene. È l’anno dell’esplosione del fenomeno Facebook, anche in Italia. Non a caso i riferimenti a MySpace si fanno prima secondari, poi sporadici e infine nulli, mentre il numero di articoli dedicati al social di Zuckerberg aumenta in modo esponenziale. Ed è in questa frenesia analitica che ci si inizia a chiedere quali conseguenze possa avere l’uso sempre più diffuso del social. Già alla fine del 2007 fanno la loro comparsa alcuni articoli sul calo della produttività sul lavoro causata da Facebook. La prima riflessione sull’uso che Zuckerberg può fare dei dati degli iscritti risale al febbraio del 2008, e nello stesso periodo si affacciano i primi corsivi sui rischi per la privacy.

All’inizio questi articoli sono infarciti di aneddoti ambientati negli Stati Uniti, ma meno di sei mesi dopo il bisogno di andare a cercare esempi all’estero non si sente più, perché Facebook e i problemi ad esso legati sono di casa anche da noi. Nel dicembre del 2008 lastampa.it fa una panoramica dei modi in cui le aziende italiane affrontano la dipendenza da Facebook dei loro impiegati. Nell’articolo si legge che nel nostro Paese gli utenti del social sono ormai 4 milioni e che il gruppo “Oggi tra Facebook e Messenger non ho concluso un ca**o” può vantare ben 200mila iscritti. Oggi i gruppi sono ormai parte della preistoria di Facebook e gli utenti italiani attivi sul social ogni mese sono circa 25 milioni. Otto anni non sono bastati per risolvere il problema delle perdite di tempo legate a Facebook. (fonte)

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