Facebook, quegli amici che non ‘cancelliamo’ per paura

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SU FACEBOOK sono i più insopportabili: pubblicano contenuti offensivi o decine di selfie, esprimono la loro opinione su ogni argomento, ci coinvolgono nella loro quotidianità. Post dopo post. Per salvarci dalla loro irritante presenza basterebbe un semplice click. Eppure fatichiamo a schiacciare quel tasto e a eliminarli per sempre dalla nostra vita social. Tanto che alla fine ci rinunciamo e decidiamo di reggerli a oltranza. Pure se ne faremmo volentieri a meno. Pure se ci infastidiscono.

Un’esposizione notevole considerato che ormai sul social network di Mark Zuckerberg trascorriamo almeno cinquanta minuti ogni giorno. Se non di più. Spesso senza riuscire a farne meno, a volte diventandone schiavi.

Ma quali sono le ragioni dietro questa sorta di masochismo volontario? Secondo uno studio presentato alla conferenza annuale della British Psychological Society, l’associazione professionale degli psicologi del Regno Unito, i già menzionati contatti molesti sono, molto spesso, anche quegli amici che hanno più successo al di là dello schermo: nella vita reale.

Può essere il capo di turno, il rispettato compagno di lavoro, il leader della comitiva con cui usciamo, o un personaggio di riferimento in un determinato settore. Individui influenti, insomma, da cui non ci distacchiamo solo per una ragione ben precisa: non subire delle ripercussioni. Anche perché, per via di strumenti come “Who deleted me”, è diventato difficile che il nostro gesto passi inosservato. “Le persone non vogliono rischiare di causare delle tensioni offline con amici, familiari e colleghi disconnettendoli dalle loro esistenze online”, ha detto Sarah Buglass della Nottingham Trent Universitypresentando l’analisi. “Rimanere collegati sul web con i fomentatori sembra essere per alcuni una vera necessità sociale”. Per arrivare a tale conclusione il team di ricerca ha preso in considerazione un network composto da 5113 persone legate a 52 utenti della piattaforma in blu.

A ognuno di loro è stato chiesto di valutare 100 contatti selezionati a caso all’interno della rispettiva cerchia di amici. Una stima per capire, tra le altre cose, le volte in cui si trovano in disaccordo sul web, il tipo di relazione che li unisce e la frequenza delle comunicazioni sia online sia offline. I risultati: cyberbulli, piantagrane, disturbatori e facinorosi da tastiera tendono a essere quegli stessi amici popolari, con cui poi abbiamo contatti regolari nella quotidianità. Ma non su Facebook, dove seppur li conserviamo lì, all’interno della nostra cerchia, allo stesso tempo li evitiamo. “Questo implica che gli utenti potrebbero tenere d’occhio i provocatori per evitare un confronto”, suggeriscono dalla British Psychological Society. Buglass puntualizza: “Sembra che molti di loro (le persone intervistate ndr) non vogliono interagire con gli istigatori online, ma contemporaneamente non li vogliono nemmeno cancellare”. E ad avere questo atteggiamento maggiormente passivo sarebbero gli uomini.

C’è da dire che lo studio non è stato svolto su un campione significativo di persone. Però come annota la Cbc, che ha ripreso l’indagine, interpreta un sentimento diffuso: il timore di urtare la sensibilità di qualcuno, cancellandolo dalla rete con base a Menlo Park. E di compiere così un atto moralmente inaccettabile. Perché le ripercussioni sociali che tale scelta comporta, conclude Buglass, “vanno molto oltre le barriere del network online”. In pratica: si tratta di una dimostrazione, l’ennesima, di come la nostra vita digitale “buchi il monitor” e abbia ripercussioni pure sull’esistenza reale. Per questa ragione i comportamenti molesti che ci costringiamo virtualmente a tollerare, e a cui non ci ribelliamo, sono i più disparati. Lo dimostrano le liste che ciclicamente agenzie di marketing e media (tra cui BuzzFeed o Mashable) si divertono a stilare sugli atteggiamenti adottati dai nostri amici internettiani più fastidiosi. Tutti li abbiamo e a volte ne facciamo parte, in egual misura.

Qualche esempio: c’è chi pubblica status ambigui, allarmisti, o tristi (spesso con l’intento di farsi consolare); c’è l’amante di quelli che un tempo si chiamavano autoscatti; c’è chi posta ogni attimo della propria giornata; chi millanta di averla favolosa; chi ha il “like” compulsivo; chi è ossessionato dai giochi che si trovano sulla piattaforma, come Candy Crush, e vorrebbe coinvolgere anche noi; e c’è ancora persino chi usa la funzione poke, la cui utilità è sempre stata dubbia. E se non riusciamo a cancellarli, allora possiamo limitarne l’impatto, aiutando il nebuloso algoritmo che decide cosa vediamo in bacheca a capire ciò che più ci interessa.

In casi estremi, uno è lo strumento principale che Zuckerberg ci ha messo a disposizione, per aiutarci: “non seguire più”. Una liberazione. Evita le grane, nonché l’imbarazzo di dovere delle spiegazioni. Ma ha anche un rischio: intrappolarci in una bolla, dove non esiste dissenso. (fonte)

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