Ecco come boss e pentiti comunicano su Facebook

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Pizzini 2.0, ecco come i boss e i pentiti riescono a comunicare tra loro grazie a Facebook.

Cosa Nostra di Totò Riina e Bernardo Provenzano usava i pizzini, a Bari, invece, tra gli affiliati ai clan e persino tra alcuni collaboratori di giustizia va di moda usare la chat di Facebook per comunicare tra di loro e all’esterno, sperando ovviamente di non essere intercettati dalle forze dell’ordine. La mafia ai tempi di Internet verrebbe da dire, in effetti l’ultimo caso – quello della testimone di giustizia, Giovanna Valentino, moglie del boss defunto Vitantonio Fiore, minacciata attraverso il social network dalle donne delle cosche rivali – conferma i sospetti della Dda di Bari che, in passato, aveva già avviato delle verifiche.

I casi accertati

Gli episodi accertati sono diversi, i pregiudicati e gli stessi pentiti usano Facebook e altre gettonate chat per parlare tra loro, pianificare, insultarsi, dichiararsi guerra o cercare la pace. Lo fanno quasi sempre usando identità false, ma non sono rari i casi in cui vengono utilizzati i nomi veri.

L’episodio più recente ed eclatante riguarda proprio Vitantonio Fiore, il 22enne figlio del capo clan del San Paolo, Giuseppe Fiore, ucciso nel maggio del 2013 assieme ad altri due ragazzi per vendicare l’omicidio da lui commesso di Giacomo Caracciolese, capo cosca del rione San Pasquale. Fiore, prima di essere ammazzato, contattò su facebook, utilizzando un profilo falso, un parente di Antonio Moretti, braccio destro di Giacomo Caracciolese. Al familiare di Moretti chiese di intercedere, convincendolo a rinunciare ad una rappresaglia. Il particolare è svelato in lungo verbale di interrogatorio da Giovanna Valentino: «Mio marito – racconta – aveva un buon rapporto, un buon legame con il fratello di Moretti, erano come due fratelli. Provò a contattarlo con un profilo falso, mio marito aveva un profilo falso su facebook», ammette la giovane donna.

Antonio Moretti è imputato nel procedimento per l’assassinio del 22enne Fiore. Ma Vitantonio Fiore non era l’unico a nascondersi sul social network dietro identità fasulle: le indagini della Dda hanno già svelato che tra gli affiliati agli Strisciuglio l’uso della chat di facebook va molto di moda. Mesi addietro, fu persino aperta un’inchiesta per suffragare l’ipotesi che ci fossero collaboratori di giustizia che, con identità false, si mettessero in contatto per decidere a tavolino cosa dichiarare alla magistratura in modo da essere ritenuti più credibili.

E poi c’è chi usa i social network con il proprio nome, ad esempio era un frequentatore assiduo Donato Sifanno, il nipote del boss Giuseppe Mercante ucciso nel febbraio del 2014. Le più attive su internet, però, sembrano essere le donne dei clan: «Farai una brutta fine», è questa la minaccia inviata attraverso la chat a Giovanna Valentino. Autrici del messaggio tre donne rivali che non le hanno perdonato la decisione di aver deciso di collaborare con la giustizia. È solo l’ultimo episodio di una lunga serie sul quale il pm della Dda, Roberto Rossi, ha avviato un’indagine. (fonte)

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