USA, alla dogana ti controllano i dispositivi elettronici

Negli ultimi tempi i controlli sui dispositivi elettronici dei viaggiatori in arrivo negli Stati Uniti sono aumentati notevolmente. A lanciare l’allarme sono stati alcuni gruppi di osservatori che si occupano di difendere la privacy digitale, dopo che tre persone — tra cui un giornalista canadese — hanno raccontato la propria esperienza. Gli osservatori hanno puntato il dito contro l’amministrazione Trump, in procinto di emanare una nuova versione del cosiddetto «Muslim ban» in seguito alle sconfitte in tribunale. Ma il governo federale ha dichiarato che non c’è stato alcun inasprimento rispetto al passato.

L’Ufficio doganale e di protezione dei confini afferma che le ispezioni sono quintuplicate durante l’ultimo anno fiscale della presidenza Obama (tra il primo ottobre 2015 e il 30 settembre 2016 ci sono stati 23,877 controlli contro i 4,764 del precedente anno fiscale), ma che comunque sono inferiori allo 0,01 per cento del totale dei device in arrivo negli Stati Uniti. Un’ipotesi è che la percezione di un aumento dei controlli sia da attribuire a un incremento del numero di dispositivi elettronici che i viaggiatori portano con sé e alla necessità di monitorare con più attenzione i vari device, alla luce dell’immensa quantità di informazioni diverse che possono contenere.

La legislazione di riferimento risale al 2009 e sono in molti a sostenere che è arrivato il momento di aggiornarla, partendo da una riflessione sulle minacce alla libertà di espressione e alla privacy digitale che la normativa rappresenta. Altri ritengono inoltre che l’enorme potere di cui godono gli agenti della polizia di frontiera si scontri con il quarto emendamento della Costituzione americana, che recita: «Non sarà violato il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale, della loro casa, delle loro carte e dei loro beni, di fronte a perquisizioni e sequestri ingiustificati; e non si rilasceranno mandati di perquisizione se non per motivi sostenuti da giuramento o da dichiarazione solenne e con descrizione precisa del luogo da perquisire e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare».

Le associazioni a difesa della privacy digitale consigliano ai viaggiatori di lasciare il loro smartphone a casa e di comprare un cellulare a basso costo una volta arrivati negli Stati Uniti. Chi non può proprio rinunciare a portare con sé il proprio dispositivo elettronico dovrebbe invece criptarlo e impedire l’accesso alle app social senza una password. Gli agenti di frontiera possono però chiedere di sbloccare il device e di fornire le varie password e, di fronte a un rifiuto, hanno la facoltà di interrogare e trattenere temporaneamente il viaggiatore, così come di sequestrare il dispositivo per alcuni giorni. Se il viaggiatore che oppone resistenza non è un cittadino americano può persino essergli impedito l’ingresso negli Stati Uniti.

Hasaim Elsharkawi, un imprenditore di fede musulmana residente in California, ha raccontato all’agenzia di stampa «Associated Press» che un paio di settimane fa è stato fermato a Los Angeles dagli agenti della polizia di frontiera mentre stava per imbarcarsi su un aereo diretto in Arabia Saudita per fare un pellegrinaggio alla Mecca. Gli agenti gli hanno chiesto di sbloccare il cellulare, ma Elsharkawi si è rifiutato: non voleva che degli uomini vedessero le foto di sua moglie con il volto scoperto, ha spiegato in seguito. Dopo essere stato ammanettato e interrogato per quattro ore, il 34enne — nato in Arabia Saudita da genitori egiziani e diventato cittadino americano nel 2012 — ha ottenuto che a effettuare il controllo del device fosse un’agente di sesso femminile.

Un trattamento simile è stato riservato anche a una ragazza veneta, Alessandra (che ha preferito non svelare il proprio cognome nel timore di eventuali conseguenze quando avrà bisogno nuovamente di passare per gli Stati Uniti). La giovane imprenditrice, di ritorno da una vacanza in Costa Rica (nel Centro America), stava facendo scalo ad Atlanta (in Georgia). Al controllo passaporti un agente di frontiera ha notato un visto della Libia — uno dei sette paesi a maggioranza musulmana interessati dal «Muslim ban» — sul documento della ragazza e ha deciso quindi di trattenerla. Alessandra è stata ammanettata e interrogata per ore e infine ha dovuto fornire agli agenti il codice di sblocco del suo cellulare.

Dal 20 dicembre scorso l’Ufficio doganale e di protezione dei confini ha iniziato a chiedere a chi entra negli Stati Uniti informazioni sulla propria attività online, con un modulo elettronico nel quale segnalare i propri account social e i siti e le applicazioni per le quali eventualmente si collabora. Al momento l’indicazione è facoltativa e riguarda solo i viaggiatori che utilizzano l’Electronic System for Travel Authorization (Esta), il modulo da compilare online con i propri dati personali per ottenere il permesso di entrare negli Stati Uniti senza visto — con la possibilità di restare nei confini statunitensi per un massimo di tre mesi. La novità, di cui si parla da giugno, è stata introdotta per «identificare potenziali minacce» per la sicurezza nazionale, come ha spiegato a «Politico» un portavoce del governo federale, senza fornire però ulteriori dettagli. (fonte)

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