In tutti noi c’è un troll che desidera ”uscire”

”TROLL” non si nasce, ma si può diventare. Dimenticate lo stereotipo del sociopatico, che ce l’ha con il mondo intero e sfoga la sua frustrazione su internet. Una ricerca della Stanford e della Cornell university è arrivata a una conclusione inquietante: chiunque può diventare un troll su internet, se si verificano le circostanza giuste (anzi sbagliate). Quindi chiunque, anche i più timorati, equilibrati e pacifici frequentatori della Rete potrebbero dare in escandescenze, insultare, aggredire e offendere altri utenti con un post su Facebook, un commento a un articolo o con un cinguettio su Twitter.

Quali sono le circostanze che spingono fuori il troll che c’è in noi? Riassumendo all’osso: una giornata no e un contesto in cui già altri hanno violato le regole della netiquette. E mai ricerca scientifica è stata più attuale, visto il tasso di aggressività che permea i social e il dente avvelenato dei commentatori pronti ad attaccare tutto, dalla capigliatura di Trump (per quanto bersaglio fin troppo facile), alla pancetta di Lady Gaga mentre si esibisce al Super Bowl.

“Volevamo proprio capire perché oggi il trolling sia così diffuso e scoprire se è una tendenza innata o può essere influenzata da fattori esterni. Quattro persone su dieci che vanno online sono state aggredite verbalmente almeno una volta” spiega Justin Cheng, ricercatore di Stanford e responsabile dello studio.

L’esperimento è stato condotto con tre diverse metodologie: usando la sperimentazione su centinaia di soggetti, sfruttando l’analisi di una grande mole di dati e usando il machine learning di un algoritmo appositamente creato.

Nella prima fase a 667 soggetti (60% uomini, età media 34 anni) è stato dato un test di logica da risolvere. Per alcuni era molto facile, per altri molto difficile. Alla fine a tutti è stato chiesto di valutare il livello di rabbia, fatica, depressione e tensione. Nessuna sorpresa nel constatare che quelli che avevano sudato sul test complicato erano di umore peggiore degli altri.

Successivamente a tutte le cavie è stato fatto leggere un articolo online su Hillary Clinton, appositamente preparato, con l’obbligo di postare almeno un commento. Una parte dei partecipanti aveva in cima agli interventi tre post che attaccavano l’allora candidata democratica, l’altra parte invece visualizzava solo tre post neutri.

Ed ecco i risultati più sorprendenti. Solo il 35% di coloro che avevano sostenuto il test facile e letto i post innocui ha scritto un commento da troll. La percentuale arrivava al 50% se il soggetto aveva affrontato l’esame ostico o letto i commenti aggressivi. Per poi salire al 68% nel gruppo sfortunato, che aveva sudato sul test e poi fronteggiato i tre troll dei commenti.

Le conclusioni sono semplici. Se la giornata va storta per qualche motivo (un test difficile) e se ci si trova in un contesto in cui già altri si sono dimostrati irrispettosi, allora è più facile scivolare. ”Si chiama teoria della finestra rotta. Se in un quartiere una casa ha un vetro spaccato, automaticamente si tende a pensare che ci si trovi in un quartiere malfamato e ci si sente giustificati a comportarsi male, per esempio a rompere un’altra finestra”, spiega il ricercatore.

Per consolidare questi risultati Cheng e i suoi hanno anche analizzato oltre 26 milioni di commenti del sito della Cnn dell’anno 2012 (inclusi quelli bannati dai moderatori). Si sono accorti che i post più offensivi sono solitamente scritti a tarda notte o nei primi giorni della settimana, ovvero quando le persone sono più inclini al cattivo umore (secondo altri dati, provenienti da altre ricerche). Inoltre hanno constatato che gli utenti già coinvolti in un’altra discussione in cui erano implicati troll, erano più propensi a produrre un post da censura. Il contesto, dicevamo. ”Si tratta di una spirale di negatività. Basta una persona che si svegli con il piede sbagliato per creare un fiorire di comportamenti anti sociali” chiarisce un altro autore della ricerca, il professore Jure Leskovec.

L’ultima tranche dell’esperimento coinvolge un algoritmo che aveva il compito di predire se un soggetto avrebbe scritto un commento da bollino rosso. Al software sono state date in pasto queste informazioni: la storia dei precedenti post dell’utente (identificato con un codice), l’ora dell’ultimo post, se questo post fosse stato censurato e pure se il commento precedente a quello del soggetto in questione fosse stato considerato un troll.

Ebbene il fattore principale, quello che più di tutti ha permesso all’algoritmo di predire correttamente il risultato (nell’80% dei casi), è stato se il commento precedente a quello scritto dal nostro autore fosse stato contrassegnato come infamante. Ancora una volta il contesto in cui si svolge una discussione si rivela fondamentale. “Teniamone conto”, ammonisce Cheng. “E’ importante capire che quello che si scrive online spesso non si pensa. Insomma, prendiamolo con le pinze”. (fonte)

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