Siti di bufale e pubblicità, il business delle fake news rende

Saltano da un network pubblicitario all’altro, senza troppi problemi. E continuano a guadagnare. Speculando sulla credulità, la buona fede o l’ignoranza generale. Perché la torta, nonostante le buone intenzioni, è ancora enorme. Sono le fake news, le bufale, i cui siti continuano a ospitare inserzioni pubblicitarie – che siano tradizionali banner o “consigli” somiglianti a contenuti giornalistici – e appunto a macinare ottimi affari. Lo prova un’indagine condotta dal sito BuzzFeed in partnership con A field guide to fake news che ha messo sotto la lente 107 siti di bufale, analizzandone le inserzioni pubblicitarie e i relativi network che li hanno infilati in quegli spazi.

I risultati dell’inchiesta sono sconfortanti: 62 siti ospitano pubblicità da almeno un noto network di settore e 29 anche da più di uno. Parliamo di nomi come Google AdSense, Revcontent, Content.ad, Taboola e altri. Dei 45 siti rimanenti 28 sono risultati offline, quattro hanno rimandato a indirizzi già controllati e uno ha “mollato il mestiere” e non pubblica più bufale. Solo una dozzina, di fatto, è esclusa dal tintinnante flusso del denaro del web. Se molti dei siti analizzati dichiarano apertamente di pubblicare notizie satiriche o comunque confezionate, e dunque in qualche modo riescono a salvare gli affari, altri ovviamente agiscono sotto mentite spoglie. Sono nomi come newslo.com, newshubs.info, folskvideo.com, viralspeech.com, tmzworldnews.com, stuppid.com, cnn.com.de, channel18.com e molti altri simili.

Fra i network pubblicitari scovati da BuzzFeed, oltre a quelli già citati, anche ClickDealer, PixFuture, Popunder, Aol, Advertise.com e molti altri. Il più diffuso, tuttavia, è Revcontent, individuato in 22 casi. Il network per giunta camuffa i suoi moduli pubblicitari proprio con contenuti che somigliano a titoli giornalistici, confondendo ancora di più le acque. Segue Google AdSense – nonostante gli annunci e le sacre alleanze contro le bufale – scovato 17 volte, tuttavia immediatamente corso ai ripari dopo l’indagine sospendendo la fornitura di pubblicità ad alcuni di quei siti. Ma non a quelli che, magari in piccolo e senza molta rilevanza, confessano appunto di pubblicare panzane.

Ma perché accade? Perché, nonostante tutte le polemiche dei mesi scorsi, queste piattaforme pubblicitarie continuano a far guadagnare chi inventa frottole al solo scopo di generare clic proprio su quegli annunci? “Ci sono ancora un sacco di soldi da fare – ha spiegato Marc Goldberg, capo di Trust Metrics, una società di valutazione degli editori e delle app, a BuzzFeed – nella valutazione dei siti molti network pubblicitari non cercano la qualità. Gli basta il minimo: che non si tratti di porno, di odio o di armi”. Tutto il resto va bene, che siano sciocchezze sui vaccini o dichiarazioni inventate del Papa. Secondo la testimonianza di un insider, cioè di un gestore di un sito di bufale (Pablo Reyes di Huzlers.com), questi network non badano al contenuto: “Ciò che interessa loro è ottenere le impression di cui hanno bisogno – ha spiegato alludendo al numero di volte in cui un certo messaggio pubblicitario viene visionato da un utente – finché il traffico è reale e le pubblicità vengono viste da persone in carne e ossa, il problema non si pone”. Anche se, appunto, a quel pubblico i presunti siti giornalistici stanno servendo veleno.

Molti si sono giustificati, qualcuno non ha risposto, altri come il Ceo di Earnify hanno ammesso che “sì, la qualità è importante ma il fattore centrale nell’affiliazione dei siti è la qualità del traffico e le performance per i nostri inserzionisti”. BuzzFeed ha anche tentato di scendere ancora di più in profondità, andando a valutare quali ad tracker – cioè pezzi di codice che quei network pubblicitari inseriscono nei siti per monitorare i navigatori e mostrare loro annunci il più possibile cuciti su misura – fossero stati rimossi a partire dallo scorso novembre. Cioè dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi. In una decina di volte si è trattato di Google AdSense, segno che gli impegni annunciati da Big G lo scorso gennaio (200 siti eliminati dal proprio giro di pubblicità), è veritiero e genuino. Altre volte del sistema DoubleClick Ad Exchange Seller, sistema di aste pubblicitarie online per AdWords collegato a Mountain View. Ma evidentemente ancora non basta. Anche perché in molti casi sono scomparsi gli ad tracker di una rete e sono apparsi quelli di un’altra. Le bufale fanno ancora gola: vendono bene, attraggono traffico e chi distribuisce pubblicità sul web non va troppo per il sottile. (fonte)

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