Il Senato scopre il “lavoro in remoto” e (ci) risparmia un milione l’anno

In un posto che difficilmente si potrebbe immaginare dedicato alle attività digitali, la cassaforte informatica del Parlamento ha trovato la sua nuova casa. Sotto piazza Navona a Roma, proprio a ridosso delle mura dell’antico stadio di Domiziano, sono infatti collocati i server del Senato della Repubblica.

Protagonisti di una vera e propria rivoluzione del modo di gestire le attività senatoriali, questi server ospitano i computer di tremila tra senatori, collaboratori, impiegati e tecnici, grazie a un processo noto come virtualizzazione, che ha trasformato ogni computer del Senato in una app, accessibile da qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. Realizzato dall’ufficio per le strategie informatiche di Palazzo Madama, il progetto di virtualizzazione delle duemila postazioni fisse del Senato consente infatti di continuare il proprio lavoro esattamente da punto in cui era stato interrotto, sugli stessi file, anche una volta che la propria postazione è stata abbandonata, per continuare a lavorarci in taxi, sul treno o sul picco di una montagna in condizioni di completa sicurezza.

L’idea alla base di questa scelta può sembrare curiosa ma non lo è se si pensa che oggi la più grande compagnia di taxi al mondo, Uber, non possiede automobili, che chi affitta case come Airbnb non possiede appartamenti, e che un’automobile Tesla aggiorna il suo software senza passare mai dal meccanico. Per questo il responsabile del progetto e capo del servizio, Gianpaolo Araco, ci dice che era naturale pensare che anche il Senato potesse offrire i propri servizi ai senatori senza consegnargli un computer imbottito di applicazioni che non sarebbero state usate e per accedere a servizi personalizzati con la sicurezza di mantenerli in una cassaforte, fisica e logica, all’interno dei sotterranei del Senato.

Alloggiati in due data center ridondanti, uno proprio sotto Palazzo Giustiniani, nella cantina della “casa” del presidente Piero Grasso, l’altro sotto Piazza delle Cinque lune, a duecento metri dall’ingresso del Senato di Corso Rinascimento, i computer server con dentro il lavoro di senatori e assistenti conservano sotto chiave i loro dati personali e i documenti sensibili inscatolati dentro una security room a prova di intrusione che è pure protetta da eventi catastrofici con un sistema anti-immersione e anti-sfondamento.

L’ingresso e l’attraversamento nei sotterranei che passano sotto via della Dogana è presidiato dalla polizia da entrambi gli ingressi e solo con uno speciale permesso è stato possibile visitarli. Così le proposte di legge, l’attività dei gruppi parlamentari e i delicati documenti delle commissioni d’inchiesta, assicurano i responsabili, possono dormire sonni tranquilli. E considerati i tempi non guasta sapere che ormai a regime, il progetto che ha consentito la centralizzazione di memoria, dati e potenza di calcolo di tanti pc in questi server ha permesso di risparmiare il 40% di energia elettrica, che insieme agli altri risparmi fa un milione di euro tondo tondo.

Motivo per cui sono arrivate le congratulazioni dello stesso presidente Grasso che a Repubblica ha detto: “Sono davvero orgoglioso di come il Senato sta affrontando la sfida dell’innovazione tecnologica. Con la digitalizzazione delle postazioni di lavoro abbiamo raggiunto tre obiettivi importanti: migliorare il supporto all’attività parlamentare mettendo a disposizione dei senatori i servizi informatici sempre e ovunque, anche in mobilità, tagliare le spese delle infrastrutture informatiche del 30%, e abbattere i consumi energetici.”

Ma non si tratta solo di risparmio o come si dice oggi, di “razionalizzazione della spesa”. Il progetto si inserisce all’interno di una strategia complessiva di adeguamento delle istituzioni alle logiche della trasformazione digitale delineata nel piano triennale per l’informatica nella Pa del Team Digitale e nella strategia per la crescita digitale dell’Agenzia per l’innovazione digitale.

Una logica che il Senato in verità aveva già percorso autonomamente dai primi anni 90 quando decise di aprirsi al web e sperimentare tecnologie non ancora mature e consolidate per migliorare il rapporto stato-cittadini in un’ottica di trasparenza. “Un percorso non facile in verità – ci dice Mauro Fioroni, a capo dei servizi informatici del Senato – perché innovare signfica affrontare prima di altri i problemi che ancora non si conoscono, col rischio di sbagliare” e aggiunge: “Noi siamo sempre stati fiduciosi. In questa legislatura poi si è fatto un grosso sforzo per realizzare un concreto processo di convergenza tra Camera e Senato che oggi più di ieri lavorano insieme per ottimizzare la risorse, ad esempio attraverso il Polo informatico, in un’ottica di interoperabilità, trasparenza e collaborazione”. (fonte)

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