La censura su internet nel mondo

Come è articolata la geografia e con quali motivazioni lavora la scure censoria governativa…

Una censura sempre più pervasiva, quella portata avanti da alcuni governi sulla Rete. Ma che, in alcuni casi, viene contrastata dalla diffusione della cifratura. È ciò che dimostra un’analisi condotta da Internet Monitor, progetto del Berkman Klein Center for Internet & Society di Harvard. Una ricerca massiccia che ha testato in 45 paesi la possibilità di accedere a 2,046 siti, tra cui mille dei più popolari al mondo secondo i dati della compagnia d’analisi Alexa. Il lavoro documenta la geografia e le motivazioni della scure censoria statale.

Sono ventisei i paesi in cui lo studio ha individuato dei filtri che abbracciano quattro diversi temi. Si trovano per lo più nell’emisfero medio-orientale del globo dove, non a sorpresa, vediamo che i governi bloccano in primo luogo i contenuti politici critici. Seguono quelli relativi a tematiche sociali, nonché notizie e opinioni che riguardano conflitti e sicurezza. Infine: si impedisce l’accesso a informazioni su determinate tecnologie, come i social media, sistemi per preservare l’anonimato online e aggirare la censura. Una forma di controllo, quest’ultima, che di recente è aumentata in Cina, India, Indonesia, Kazakistan, Russia, Corea del Sud, Turchia, e Uzbekistan.

La maggior parte degli Stati adotta una censura onnicomprensiva, che ingloba tutti gli argomenti sopra menzionati, anche se la profondità dei filtri varia di paese in paese. I ricercatori, inoltre, annotano che i censori di tutto il mondo stanno sfruttando sia la lotta al terrorismo sia le fake news per legittimare la loro opera ed estenderla. È il caso dell’Egitto che lo scorso maggio ha reso inaccessibili 21 siti online, motivando la decisione proprio con tali ragioni. Un’altra tendenza in crescita, particolarmente evidente nel Medio oriente e in Nord Africa, è la decisione di bloccare non più solo i contenuti di dissidenti interni, ma pure quelli di altri governi. Una prova? Gli alleati dell’Arabia Saudita hanno iniziato a chiudere alcune pagine web del Qatar, dopo l’inizio della crisi diplomatica.

Una curiosità riguarda l’implementazione di tecnologie di cifratura che, stando a quanto dimostra l’analisi, stanno cambiando il panorama della censura su Internet. A volte in meglio, altre in peggio. “L’uso di tecnologie di sicurezza digitale al passo con i tempi, come l’adozione di siti nativamente protetti tramite la cifratura delle comunicazioni HTTPS (cioè il lucchetto visibile nel browser ndr), rende molto più difficile per i censori implementare tecniche che impediscono l’accesso a determinati contenuti di specifiche piattaforme web”, spiega a Repubblica Fabio Pietrosanti, cofondatore del Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali.

In altri termini: quando un sito è cifrato, è molto difficile bloccare un particolare dissidente su Facebook o una precisa pagina di Wikipedia. Perciò, a meno che la piattaforma non decida di rimuovere quel contenuto, il governo in questione deve vietare l’ingresso all’intero sito web o lasciar perdere. Le conseguenze sono ancora dubbie. In Arabia Saudita, per esempio, né Wikipedia né Twitter sono state bloccate. Mentre, dall’altra parte, sia Egitto che Malesia hanno impedito l’accesso a Medium, la piattaforma di auto-pubblicazione di contenuti, perché si rifiutava di eliminare dei post scomodi. Di conseguenza, come ha commentato Rob Faris, uno degli autori della ricerca: “Le aziende hi-tech sono in prima linea, assumendo sempre più il ruolo di principali guardiani della libertà d’espressione nel mondo”. (fonte)

You may also like...