Indifese sui social, ”Mi hanno rubato la foto su Facebook e violato l’identità”

(di MICAELA ABBINANTE) Io e Mariella non abbiamo niente in comune. Non i gusti né il modo di scrivere (e, per la verità, neanche le caviglie). Però abbiamo lo stesso volto, lo stesso sorriso. O meglio, lei ha il mio volto e il mio sorriso. Mariella non è il mio alter ego e neanche la mia coscienza (avrei scelto altre foto per rappresentarla). ‘Mariella Pinto’ è un profilo Facebook che per costruirsi una identità ha scelto – e rubato – le mie foto. Già, le mie foto, le poche che a stento pubblico per mille motivi, personali e professionali. Per scelta e tendenza caratteriale. Eppure eccole lì, commentate  da 580 perfetti sconosciuti.

Per qualche giorno – dopo aver ‘conosciuto’ Mariella per caso – ho cercato aggettivi per descrivere la sensazione provata. Forse violata è quello che la rappresenta meglio. La foto profilo di Mariella è uno scatto con mia sorella. Non uno qualsiasi ma l’immagine del rapporto che c’è tra me e lei, perfettamente rappresentato. Perché poi le foto più belle, quelle a cui siamo più affezionati, sono quelle che raccontano un sentimento. Io, tornassi indietro, la terrei gelosamente per me. Oppure no. Oppure avrei di nuovo voglia di condividere (sarebbe poi questa la funzione primaria di Facebook) quel momento, quella felicità, quello sguardo. Non lo so. Quel che è certo è che vedere le proprie immagini ‘usate’, chissà poi per quali scopi, da un signor X, lascia nelle parole e negli occhi il senso di impotenza.

Quelle immagini non sono più tue e tu puoi farci poco o niente. Puoi segnalarlo al signor Facebook (il quale, esclusa una mail modello ‘copia incolla’, se ne infischia), puoi rivolgerti alla polizia postale, puoi chiedere agli amici (quelli veri) di segnalare il profilo, ma la verità è che il gioco è fatto. Il tuo volto è stato associato a un’altra identità. Ho avuto la voglia di scriverle, di chiederle perché. Ma ho desistito subito. Il suo perché non cambierebbe la mia sensazione.

Forse Mariella una identità vera, quella che va oltre e viene prima di un post o una foto in posa, non ce l’ha. A me, e a quelli con cui ho poi scelto di condividere questa esperienza, forse resta soltanto un istinto di riflessione su come e quanto usiamo i social media, sul potere nullo di protezione  delle nostre cose (e di lezioni inutili su come impostare la privacy ne ho già sentite troppe), su quali possono essere le conseguenze della condivisione.

Restiamo davvero padroni di quel che pubblichiamo? Evidentemente no. E dovremmo saperlo anche prima che qualcuno decida di nascondersi dietro il tuo scatto migliore. Io sono una persona gelosa, della peggiore specie. Sono possessiva e selettiva. Scelgo gli amici e condivido poco in maniera allargata. E più volte ho strenuamente difeso la mia scelta di non pubblicare foto di vita personale.

Non è bastato. Non basta a difendersi e a difendere  quel che si condivide della propria vita. Mariella ha scelto una  frase di Audrey Hepburn per la sua immagine di copertina, “le donne belle son quelle felici”: vera nella sua banalità, drammatica se riferita al senso di un furto di identità. La felicità – quella del mio sorriso e dei miei occhi – non potrà mai essere quella di qualcun altro. (fonte)

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