Il ruolo di Facebook nel delitto di Pordenone

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«Chiamate l’ambulanza, ci sono due feriti, non si muovono». Poco prima delle 20 di martedì 17 marzo 2015, un ragazzo si presenta alla portineria dei vigili del fuoco, davanti al palazzetto dello sport di Pordenone, e lancia l’allarme.

Alla stessa ora un’insegnante di Porcia, uscita dalla palestra, mentre apre la portiera della sua auto calpesta alcuni vetri. Alza gli occhi e vede una Suzuki Alto bianca: al posto di guida Teresa Costanza, nata ad Agrigento il 19 febbraio 1985 e residente a San Donato Milanese; sul sedile del passeggero, il compagno Trifone Ragone, nato a Monopoli il 13 novembre 1986, residente ad Adelfia.

Lui, militare alla caserma dell’Ariete di Cordenons; lei, subagente della compagnia Zurich di piazza Risorgimento; fidanzati dal dicembre 2013 e conviventi dal maggio 2014. Uccisi con tre colpi di pistola ciascuno, sparati a bruciapelo. Un’esecuzione avvenuta tra le 19.40 e le 19.50, in assenza di testimoni, sebbene in un parcheggio frequentatissimo.

Gli inquirenti in sei mesi sentono 800 persone «informate sui fatti». Quando il giallo sembra prendere la strada del delitto irrisolto, il colpo di scena.

Il 17 settembre i carabinieri trovano nel lago di San Valentino, all’interno dell’omonimo parco a duecento metri dal palasport, un caricatore e poi l’intera pistola Beretta 7.65 usata per uccidere e risalente al periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Le telecamere pubbliche fotografano una lunga sosta sospetta, in via Interna, di un’Audi A3 di colore grigio.

Sei giorni dopo i militari del Ris sequestrano l’appartamento di via Colombo dove Trifone Ragone abitava, prima di andare a convivere in via Chioggia, con tre commilitoni, tra cui Giosuè Ruotolo. Per due, Daniele Renna e Sergio Romano, un avviso di garanzia lampo: tre ore, giusto il tempo di ricordare agli inquirenti la loro serata del 17 marzo, quella serata di cui, sino a quel momento, hanno avuto ricordi piuttosto vaghi. Il 15 gennaio sono risentiti, alla luce dei nuovi elementi raccolti dagli inquirenti.
L’avviso di garanzia non è lampo, invece, per il caporalmaggiore Giosuè Ruotolo, 26 anni, commilitone di Trifone Ragone, originario di Somma Vesuviana. Gli inquirenti gli sequestrano pc, auto e telefonini: duplice omicidio e porto abusivo di arma da fuoco è l’ipotesi di reato.

Non ha un alibi, per quella sera. Anzi, nel primo interrogatorio davanti ai pm, otto ore, ammette la sua presenza sia al parcheggio del palasport sia nel parco di San Valentino. Nel primo non avrebbe trovato parcheggio, nel secondo si sarebbe recato per fare footing, salvo desistere per il freddo.

La stessa sera, alle 20, Maria Rosaria Patrone, 24 anni, manda un sms al fidanzato: «Amore, hai fatto qualcosa che non mi hai detto?». La risposta, mezzora dopo: «Lo sai amore che ti dico sempre tutto».
Si scagiona, davanti alle tv, il caporalmaggiore che aveva vinto il concorso per entrare in Finanza, come Trifone Ragone e del quale aveva portato la bara, il giorno del funerale: «Non sono stato io a uccidere, la morte del mio amico mi ha fatto stare a pezzi per tanto tempo».

Due giorni prima di Natale viene convocata in Procura la fidanzata di Ruotolo, indagata per favoreggiamento, e fa una sola dichiarazione spontanea su un profilo Facebook anonimo, utilizzato per inviare messaggi a Trifone e Teresa. Un profilo di cui non aveva mai parlato, mentre le sue amiche, ai carabinieri, l’avevano riferito. «Semplice dimenticanza».

Una serie di discrepanze tra quanto accertano le indagini e il primo interrogatorio del militare portano il pm a riconvocarlo: il 19 gennaio si avvale della facoltà di non rispondere. Intanto in procura giungono i risultati delle perizie tecniche, informatiche e biologiche, affidate ed eseguite in precedenza.
Gli inquirenti si concentrano sui dissapori tra Trifone e Giosuè culminati, pare, in un litigio violento prima taciuto e poi ammesso dai commilitoni.

Motivo del contendere, il profilo Facebook anonimo con cui Ruotolo avrebbe importunato Teresa: due mesi di chat firmate col nome della ex di Trifone. Il quale diventa la causa delle paure di Giosuè: scoperto, teme di perdere il posto in Finanza.

L’ex amico va dunque eliminato, così come la fidanzata, “colpevole” di sapere chi si nascondeva dietro quella chat. Paura e rabbia montano ed esplodono, per l’accusa, la sera del 17 marzo 2015. (fonte)

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