Ignorati su Facebook? Cala l’autostima

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Uno studio valuta gli effetti dei post senza riscontro sui social network: ma non dimentichiamo la complessità dei nostri affetti, avverte lo psicologo

A tutti è capitato di pubblicare qualcosa su Facebook e non ricevere neppure uno straccio di “mi piace”, né un solo commento. Ma come vi siete sentiti? Un nuovo studio pubblicato negli Stati Uniti avverte che chi non ottiene riscontri ai propri messaggi su Facebook rischia di sentirsi rifiutato e di ridurre la propria autostima. Da tempo si sa che i social media, promessa di contatti vitali, di connessione con altri che scaccino la solitudine, possono produrre effetti opposti e vanno usati con prudenza.

In questo caso, però, a essere “sotto accusa”, non è il già noto fenomeno del bullismo mediatico, né l’eccesso di virtualizzazione delle relazioni: qui si parla di silenzi, di richiami che cadono nel vuoto.

Lo studio “Minacce alla appartenenza su Facebook: ostracismo in agguato”, pubblicato da Taylor and Francis Group, una casa editrice di testi accademici, ha misurato che l’accumulo di post che non si guadagnano nemmeno un “mi piace” e la conseguente assenza di interazione possono condurre alla svalutazione di sé. La ricerca è stata condotta da un team della scuola di psicologia presso l’Università di Queensland in Australia e ha una sua originalità.

Il dottor Stephanie Tobin, docente di Queensland, e il suo gruppo di collaboratori hanno eseguito due prove principali per determinare come i siti sociali influenzino non solo l’umore passeggero, ma la possibilità d’essere felici. Durante il primo studio, i ricercatori hanno preso un gruppo di utenti di Facebook piuttosto attivi nella pubblicazione di informazioni, per poi dividerli in due sottogruppi: alla prima metà è stato detto di rimanere attivi sul social network, con le consuete operazione di commento, condivisione, scrittura. All’altra metà del gruppo è stato chiesto di essere passivi e di restare a guardare gli amici che, invece, si sbizzarrivano tra post e altre attività tipiche.

Conclusione: alla fine del primo esperimento le persone costrette all’immobilità digitale su Facebook per due giorni hanno dichiarato che l’esperienza aveva pesato negativamente sul loro benessere personale.

Nel corso di un secondo test, a un gruppo di persone è stato dato accesso ad account di Facebook anonimi, invitandoli a commentare le altrui pagine di Facebook come normalmente avrebbero fatto. La metà di questo gruppo non aveva idea che non avrebbe ricevuto alcun feedback sui suoi tentativi di interazione.

In entrambi i casi, comunque, i partecipanti a questo secondo studio sono stati per lo più ignorati. La sensazione più diffusa tra i sottoposti all’esperimento è stata l’invisibilità. Sensazione che li ha fatti sentire ridimensionati come persone.

Facebook accoglie tutti, e tutti trovano “amici”, nel senso improprio usato dall’interfaccia del social network, con cui collegarsi. Eppure, questa appartenenza sembra davvero fragile, tanto che basta un mancato clic sul pollice in sù, per farci sentire più soli. E forse non è consolante sapere che, in fondo, un clic su Mi piace è poco più che un riflesso, un dito che scorre su uno schermo o un clic su un mouse. Anzi, proprio la facilità e il poco impegno che richiedono, rendono frustrante non riceverne traccia.

Il successo di Facebook, dunque, si racchiude proprio nella partecipazione attiva, nella raccolta e nella creazione di commenti e di condivisioni. Se il gioco si ferma, è addirittura in agguato la depressione?

La questione non sorprende Paolo Giovannelli, docente dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Clinico del Centro ESC , specializzato nei disordini del comportamento provocati da Internet.

“Coltivare le relazioni sui social network – spiega Giovannelli – può diventare un’esperienza profondamente reale con importanti conseguenze emotive ed affettive, in alcuni casi anche gravi”. In effetti, la contrapposizione o semplicemente la distinzione tra realtà e virtualità non sono più concetti attuali: “Tutto sta al valore e all’importanza e lo spazio che noi diamo, piú o meno consapevolmente, a questa tecnologia nel definire la nostra esperienza relazionale”. E tuttavia, anche l’esperienza sui social network, apparentemente nuova, richiama elementi reali già noti. “Lo spazio concreto che assomiglia maggiormente ai social network piú diffusi è quello del centro commerciale” sostiene Giovannelli e il rischio è quello di farci “dettare le regole della modalitá dell’interazione umana da qualche azienda della Silicon Valley”.

Non si tratta, naturalmente, di rinunciare in blocco alle opportunità della comunicazione e condivisione in Rete, ma di “sforzarci di ascoltare i nostri bisogni affettivi e umani – sottolinea il docente – che possono essere soddisfatti solo in piccola parte dai social network”. In questo caso, è la conclusione, “Se dimentichiamo di soddisfare i nostri bisogni relazionali nella loro complessità allora sì che rischiamo di dare ai social media un ruolo fondamentale nel regolare la nostra autostima e si potrà sviluppare dentro di noi una forma subdola e grave di dipendenza”. (lastampa)

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