Google Home in Italia, comincia l’era degli assistenti virtuali da casa

Suveer Kothari, 37 anni, è un ottimista. Inglese di nascita, laurea ad Oxford, da cinque anni è negli Stati Uniti dove è diventato vice presidente di Google. Pensa che la tecnologia aiuti a migliorare la vita anche quando non sempre ti capisce bene. Lui infatti si occupa fra le altre cose di Google Home, l’altoparlante intelligente del colosso del web e parte di quella nuova categoria di dispositivi per la casa inaugurati da Echo di Amazon lanciato nel 2014. Ma come HomePod di Apple, l’ultimo arrivato in ordine di tempo, Echo è restato confinato agli Stati Uniti e a pochi altri Paesi.

Questo di Google quindi è il primo a metter piede da noi ed è anche il primo a parlare italiano. Dal 27 marzo lo si può acquistare a 149 euro, 59 per la versione Mini (il Max arriverà in seguito), e parlarci chiedendogli di riprodurre un certo brano musicale di Spotify e Google Play, di darvi le ultime sulle condizioni meteo, di controllare se il nostro volo è in orario o darvi qualche data storica che il quel momento vi sfugge o ancora di tradurre una frase in inglese o francese e leggervi le notizie del giorno. In teoria riconosce fino a cinque diverse voci, per non far confusione fra i diversi membri della famiglia.

“E poi si possono gestire gli apparecchi smart della casa come lampadine connesse o come Chromecast per avviare un video di YouTube o Netflix sulla Tv semplicemente con un comando vocale”, aggiunge Kothari. “L’Italia è il settimo Paese nel quale esce Google Home. Sappiamo cosa gli italiani chiedono al nostro motore di ricerca sul web, abbiamo fatto esperienza e per questo siamo i primi ad esser riusciti a lanciare un prodotto del genere in italiano”. Come dire: non sono gli altri ad esser lenti ma siamo noi ad esser veloci.

Intendiamoci: non vi aspettate che l’assistente virtuale di Google, e ancor meno gli altri, possano rispondere a tutto capendo di cosa state parlando in ogni occasione. L’intelligenza artificiale (Ai) è intelligente solo in certi ambiti. Fa fatica a capire quel che per noi è intuitivo come il contesto di una frase. “Non è facile per una Ai comprendere di cosa si sta parlando se alcuni elementi sono sottintesi o vaghi. Ma stiamo facendo passi in avanti sensibili da questo punto di vista”, prosegue il vice presidente di Google. Per avere un’idea dei possibili incidenti di percorso e delle tante incomprensioni che vi attendono, basta andare su YouTube e guardare le migliaia di video di bambini che intavolano improbabili conversazioni con Siri, Cortana, Google Assistant o Alexa.

Considerando il capitombolo di Facebook in materia di privacy, Kothari ci tiene a segnalare che il loro altoparlante intelligente è attivo unicamente quando si pronuncia la frase “Ok Google”. Non ascolta tutto e l’unico tasto presente è quello per metterlo in standby. In realtà preoccuparsi di privacy semplicemente quando si porta a casa un sistema come Google Home è tardivo. Per non dire di peggio. La raccolta di dati sulle nostre abitudini è iniziata da anni. Le grandi compagnie almeno hanno un volto pubblico da proteggere. Sono quelle piccole e sconosciute le più quelle pericolose, come insegna in caso di Cambridge Analytica.

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