Google ammette: leggiamo le vostre mail

GOOGG

La posta è controllata da sistemi automatici per offrire pubblicità mirata. Le nuove regole apparentemente non attive in Italia

Google ha aggiornato il documento che specifica Privacy e i termini d’uso dei propri servizi, esplicitando che i contenuti dei messaggi di Gmail degli utenti sono sottoposti ad analisi e scansione allo scopo di inviare pubblicità mirata. La formula usata, per l’esattezza, nei Terms of Service è: “sistemi automatizzati analizzano i contenuti degli utenti (comprese le mail) per fornire servizi sempre più mirati come risultati di ricerca personalizzati, pubblicità su misura e rilevazione di malware e spam. Questa analisi è condotta quando il contenuto è inviato, ricevuto e conservato”.

Il motore di ricerca formalizza qualcosa che già si sapeva, tanto da essere stato oggetto, negli Usa, di una class action da parte di un gruppo di utenti, che lamentavano una violazione della privacy. Il tentativo è stato vanificato un mese fa dalla decisione del giudice distrettuale Lucy Koh, che non ha dato il via libera all’azione legale. E non è escluso che tra la decisione del tribunale e l’aggiornamento di questi giorni ci sia un nesso causale. La linea di difesa di Google, d’altra parte, ha sempre puntato sul fatto che le verifiche dei contenuti avvengono tramite software automatizzato e rispettano l’anonimato degli iscritti.

Nel momento in cui scriviamo, tuttavia, sembra che i termini di servizio siano stati modificati per gli Stati Uniti, ma non ancora per l’Italia e per altri Paesi europei, tra cui la Francia. Abbiamo infatti provato ad aprire un nuovo account di Gmail, dichiarando ogni volta una diversa nazionalità: il link alla pagina Terms of services risultava aggiornato alla versione del 14 aprile 2014 per gli statunitensi, ma per francesi e italiani  era ancora quella del 2013. E la legge italiana, lo ricordiamo, prevede la necessità di un consenso esplicito da parte degli utenti per la loro profilazione a fini di advertising mirato.

 

Google ha già sperimentato il diverso atteggiamento del Vecchio Continente in materia di riservatezza dei dati. Alla fine del 2013, il Garante Privacy italiano ha costretto il motore di ricerca a pagare un milione di euro di multa per la raccolta impropria di dati nel corso della mappatura fotografica delle strade realizzata da Street View, e più o meno nello stesso periodo il Cnil, garante della privacy francese, ha inflitto a Google una multa da 150 mila euro (la massima possibile per questa violazione) per non aver rispettato le linee guida sulla protezione dei dati personali vigenti in Francia. Non è escluso che questi episodi abbiano ispirato al colosso americano un atteggiamento di maggiore prudenza sul territorio europeo.

 

L’attenzione dei media si è concentrata sulla formalizzazione dell’attività di monitoraggio della posta elettronica, ma in realtà l’aggiornamento di Google contiene altri aspetti interessanti. Come spesso accade, sono le piccole aggiunte a dovere preoccupare di più. Il nuovo documento, facilmente comparabile alla versione precedente grazie al link messo a disposizione da Google, recita, per esempio: “Quando si carica, o altrimenti si sottopone, archivia, invia o riceve contenuti verso o tramite i nostri Servizi, l’utente concede a Google (e a quelli con cui lavoriamo) una licenza mondiale per utilizzare, ospitare, memorizzare, riprodurre, modificare, creare opere derivate (come ad esempio quelle derivanti da traduzioni, adattamenti o altre modifiche che facciano in modo che il contenuto funzioni meglio con i nostri Servizi), comunicare, pubblicare, (…) distribuire tali contenuti”.

In pratica, il gigante di Mountain View si impadronisce di tutto ciò che semplicemente transita sui suoi server, incluse fotografie che qualcuno vi spedisce via mail, o documenti archiviati su Google Drive, sia pure per la sola finalità di pubblicizzare i propri servizi (il paragrafo successivo specifica che detta licenza è concessa al solo fine di gestire, promuovere e migliorare il servizio, nonché per elaborarne di nuovi). È altamente improbabile che Google si avventuri in abusi quali la pubblicazione di immagini personali o altri contenuti simili (la sua ricchezza restano comunque gli utenti e la loro fiducia), ma con queste clausole sembra mettersi legalmente al riparo da possibili controversie future.

Questa nuova formulazione avvicina le regole di Google a quelle di Facebook, che molto già fecero discutere.  La privacy, insomma, si conferma il fronte più caldo per i grandi fornitori di servizi online e, dall’altra parte della barricata, per gli utenti della Rete. È il prezzo da pagare per non sborsare moneta sonante per gli strumenti che usiamo quotidianamente gratis: social network, posta, programmi online, calendari, mappe e tanto altro. Ma è anche un patrimonio che un tempo non lontano era considerato inviolabile.

E poi, ci chiediamo, ora che Google ammette di sondare la nostra posta, come si comporterà inciampando potenzialmente – seppur tramite sistemi “automatici” – in termini caldi che riguardino la pedopornografia o attività terroristiche o, semplicemente, forme di violazione del copyright. Potrà ancora appellarsi al diritto, valido per tutti i provider, di non avere responsabilità oggettive per i contenuti inseriti o veicolati dai propri utenti sui propri server, non avendo un obbligo di “sorveglianza preventiva ”? (lastampa)

 

L’articolo Google ammette: leggiamo le vostre mail sembra essere il primo su CheckBlackList.

You may also like...