Facebook, oscurata la pagina del regista di Diaz

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Due volte in dieci giorni, sempre per contenuti relativi ai fatti del G8 di Genova: dopo l’oscuramento di un post di Zerocalcare, la seconda vittima della censura di Facebook è Daniele Vicari, regista, tra gli altri, del film Diaz – Don’t clean up this blood.

Il cineasta romano aveva pubblicato un lungo post per rispondere alle critiche del collega Michele Diomà, che lo accusava di non aver fatto i nomi, all’interno del film, degli agenti di polizia responsabili per gli orrori della Diaz. Un articolo lungo, appassionato e ben argomentato, che oltre a parlare dei fatti del G8 includeva anche un discorso di etica ed estetica puramente cinematografica.

Ma l’alto numero di commenti, in gran parte civili e ragionati, insieme alla grande quantità di segnalazioni da parte di alcuni utenti, ha fatto scattare l’allarme di Facebook, portando, come successo in passato (anche per Zerocalcare) al blocco del contenuto. «La cosa fa ridere, se Facebook non mi vuole me ne farò una ragione – ha dichiarato il regista al sito Giornalettismo -. Ma non è che per caso episodi del genere finiscono per compromettere la libertà d’espressione sulla quale prosperano i miliardari che hanno creato i social?».

In molti hanno interpretato questa seconda “censura” come una volontà, da parte del social, di nascondere sotto al tappeto le ferite, ancora aperte, di quei terribili giorni del 2001. In realtà si tratta solo di grandi numeri: se un’ampia massa di utenti utilizza il sistema di segnalazione integrato in Facebook, l’algoritmo finisce inevitabilmente per individuare e bloccare questo o quel post, anche se solo come misura preventiva.

Non si tratta, ovviamente, di una giustificazione: episodi del genere dimostrano in maniera lampante come Facebook abbia un serio problema di gestione dei contenuti. Anche perché in diversi casi, di fronte a pagine di evidente stampo fascista, omofobo e razzista, gli utenti che hanno segnalato il problema si sono visti rispondere che «non contiene infrazioni del codice etico di Facebook». Forse sarebbe il caso di affidarsi un po’ meno agli algoritmi e un po di più al semplice, vecchio buon senso. (fonte)

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