Facebook e Google, guerra alle notizie-bufala

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La battaglia è appena cominciata. Da una parte due giganti hi-tech: Google e Facebook. Dall’altra un mostro multiforme, difficile da inquadrare: l’enorme mole di notizie false che corre velocemente online. Una delle armi scelte è identica: tagliare la pubblicità, e quindi gli introiti, ai siti che diffondono tali contenuti. Un bacino di disinformazione nelle scorse settimane finito sotto attacco: secondo alcuni commentatori, avrebbe preparato il terreno per l’elezione del repubblicano Donald Trump, veicolando news infondate e contribuendo a polarizzare gli utenti in due schieramenti contrapposti.

Di certo, su internet passa ormai una buona fetta della nostra dieta mediatica. Un dato: qui si informa il 40 per cento degli intervistati per il report 2015 del Reuters Institute for the study of journalism. E la diffusione virale delle informazioni farlocche ha implicazioni difficili da quantificare. Ma reali: dai dibattiti sull’efficacia delle vaccinazioni alla teoria complottista sulle scie chimiche, mai passata di moda, passando per le bufale razziste. È un problema da affrontare, aspettare non è più possibile.

Il primo ad annunciare misure a riguardo è stato Google: un nuovo cambio delle politiche non consentirà più ai siti che diffondono notizie false di avvalersi dei servizi pubblicitari di Mountain View. Non è il solo modo in cui Big G lotta contro le bufale. Già nelle settimane prima del voto elettorale statunitense, l’azienda aveva preso dei provvedimenti introducendo Fact Check: una sorta di etichetta di qualità che ha l’obiettivo di dare maggior visibilità ai contenuti dei fact checker, cioè coloro che si preoccupano di verificare le informazioni. Ma questo non gli ha impedito di prendere una cantonata degna di nota. Nei giorni scorsi chi negli Stati Uniti cercava su Google “risultati finali delle elezioni”, uno dei primi siti su cui veniva rimandato riportava una menzogna: Trump ha vinto il voto popolare. Falso. Hillary Clinton ha battuto The Donald: si è aggiudicata 59.926.386 voti, mentre il magnate ne ha guadagnati 59.698.506, però ha prevalso nel conto dei grandi elettori, conquistando così la Casa Bianca. “L’obiettivo del nostro motore di ricerca è fornire agli utenti i risultati più utili e rilevanti”, ha dichiarato Andrea Faville, un portavoce della compagnia. “In questo caso, abbiamo chiaramente fatto un errore, ma lavoriamo continuamente per migliorare il nostro algoritmo”.

Non va meglio sul versante Facebook. Anzi, proprio la rete sociale in blu è stata additata come una delle principali responsabili del fenomeno Trump. Colpevole di aver veicolato storie fasulle in grado di spostare voti verso il candidato repubblicano. Una tra tutte: l’endorsement di Papa Francesco. Mark Zuckerberg ha difeso la propria creatura dicendo che il 99% delle notizie che circola sul network è autentica ed è inoltre “folle pensare che la gente abbia votato in base a notizie false circolate su Facebook”.

Una dichiarazione che, stando a delle voci raccolte da BuzzFeed News, non trova d’accordo persino molti dei suoi dipendenti. All’interno del network si sarebbe addirittura formata una task force ufficiosa per affrontare di petto il problema. Come? Difficile dirlo. Altre indiscrezioni, questa volta raccolta da Gizmodo, vogliono che il social abbia tutti gli strumenti per sbarazzarsi delle bufale, ma sia stato paralizzato dalla paura di “urtare” gli utenti conservatori. La storia non sembra dargli ragione: in un aggiornamento del 2015, la compagnia aveva promesso una riduzione di questo tipo di contenuti dando agli utenti la possibilità di segnalarli. Peccato che i risultati siano stati poco soddisfacenti. Al momento, solo una nuova mossa concreta: il social ha seguito le orme di Google e ha adottato provvedimenti similari. Secondo il New York Times, infatti, poche ore dopo l’annuncio di Big G, Facebook ha aggiornato la policy relativa al proprio Audience Network per includere tra i siti su cui non mostrerà più pubblicità anche quelli di notizie false. Tuttavia, ciò non andrà a incidere sul profluvio di baggianate che vediamo quotidianamente in bacheca.

Insomma, siamo agli esordi di una bella lotta. Ma servirà? Walter Quattrociocchi, ricercatore, che ha a lungo studiato il fenomeno della disinformazione virale ed è coautore del libro “Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità” (Franco Angeli, costo: 19 euro) crede che tutto ciò non sia sufficiente: “Il problema non sono le bufale in quanto tali, è solo una minima parte dello spettro,” spiega, “il problema è che siamo di fronte a narrazioni spesso in contrasto tra loro, che cercano di dare una spiegazione a una quantità crescente di informazioni sempre più difficili da verificare. Si tratta di un problema cognitivo che va affrontato in maniera diversa”. Qualche idea? “Vorremmo lanciare un osservatorio permanente che si occupi della questione a 360 gradi”, conclude. (fonte)

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