Facebook, quando e come decide chi è terrorista

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I rapporti tra India e Pakistan non sono mai stati particolarmente distesi. Ma ora, dopo che diciotto soldati indiani sono stati uccisi in un attacco contro la base militare di Uri, nel Kashmir, la regione himalayana contesa tra i due paesi, l’ostilità e tornata altissima. In questa partita succede che, ancora una volta, si inseriscono i social media. In particolare a finire sotto accusa questa volta è Facebook, accusata di aver sostenuto una campagna di censura ai danni degli attivisti del Kashmir.

Da luglio scrittori e giornalisti del Kashmir denunciano come i loro account vengano costantemente chiusi e censurati. Allo scrittore Arif Ayaz Parrey è successo di vedersi chiuso il profilo mentre stava chattando con un amico. E stessa cosa è successa alla pagina del Kashmiri Solidarity Network, in particolare dopo aver diffuso una campagna social nella quale il volto di Mark Zuckerberg veniva utilizzato per denunciare l’uso di fucili ad aria compressa da parte poliziotti indiani sugli attivisti del Kashmir (pratica denunciata anche da Amnesty International). Secondo gli stessi attivisti anche filmati che mostravano le violenze commesse dai soldati indiani sono stati rimossi. «È una purga vera e propria», denuncia al Corriere Mohammad Junaid, fondatore del Kashmiri Solidarity Network che studia alla City University di New York. Nel solo 2015 sono stati oltre 14,971 i contenuti rimossi sul social network di Zuckerberg su espressa richiesta del governo indiano. Secondo la Bbc, Facebook, interpellata sull’accaduto, ha risposto di aver identificato il gruppo come pericoloso e «sostenitore di attività terroristiche». Da tempo la maggior parte dei colossi della Silicon Valley sono stati chiamati a rimuovere i contenuti di propaganda delle organizzazioni terroristiche, soprattutto dopo l’espandersi di Isis.

Tuttavia in questo caso la partita sembra tutta diversa. Il Kashmiri Solidarity Network è stato creato nel 2010 da expat del Kashmir come Junaid per discutere dell’aumento di violenza nella regione. Il governo indiano d’altro canto considera i separatisti del Kashmir come terroristi. Però, talvolta, chi è considerato un terrorista da una parte politica, da altre realtà internazionali viene percepito come un combattente per la libertà (si pensi, ad esempio, ai curdi). Inoltre se durante le guerre e gli scontri, come ormai è chiaro, i social media giocano un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda le campagne sia sul fronte della propaganda, è evidente come la parta più forte cerchi di sopraffare la più debole mettendola a tacere.

Ma chi decide in rete chi è un terrorista e chi no?

Nel caso di Parrey, ad esempio, il suo profilo è stato chiuso dopo che aveva condiviso un articolo di news sul Kashmir e non una rivendicazione o un bollettino di guerra. Eppure qualcuno dall’altra parte del mondo si è arrogato il diritto di metterlo a tacere. Ma perché questo avviene? Sbagliata interpretazione della realtà geopolitica o interessi economici? «In questo caso Facebook vuole chiaramente compiacere il governo indiano», continua Mohammad Junaid. Il motivo? «A fare gola è il mercato digitale indiano ed è evidente come Facebook anteponga i suoi interessi economici ai principi etici». Per il social network di Zuckerberg l’India con i suoi 1.2 miliardi e meno di 200 milioni di utenti attivi è un mercato cruciale, inoltre il governo indiano è tra quelli che più chiede a Facebook di rimuovere contenuti. Risultato — secondo gli attivisti — Facebook asseconda la campagna di censura promossa da Nuova Delhi. Alla faccia della democrazia e del free speech che tutti i colossi della Silicon Valley affermano di difendere. (fonte)

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