Facebook chiude tutte le pagine dell’Isis

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Di norma, a Facebook, non rimuovono nessun contenuto se non sono gli utenti a chiederlo. Ma ci sono delle eccezioni: «In caso di contenuto pedopornografico o di materiale propagandistico di organizzazioni terroristiche non aspettiamo che qualcuno ce lo chieda. Agiamo immediatamente».

Lo sguardo di Julie de Bailliencourt, safety policy manager per Europa, Medio Oriente e Africa del social network, si fa più duro quando inizia a raccontare della strategia che Menlo Park ha adottato per ripulire le pagine da decapitazioni e proclami. «Non è stata una battaglia facile», continua. Negli ultimi due anni Facebook e i principali social si sono trovati incastrati tra il desiderio di lasciare le loro piattaforme libere e quello di evitare che si trasformassero in cassa di risonanza dell’orrore facendo così scappare investitori e utenti.

Terroristi sì, terrorismo no

«La nostra priorità è salvaguardare chi usa Facebook», continua de Bailliencourt seduta in un ufficio del quartiere generale di Dublino. Intorno a lei, disegni colorati e pollici bianchi che rendono surreale la conversazione, dato che l’argomento è la propaganda jihadista. «Ovviamente non monitoriamo i contenuti degli utenti. Ma le nostre policy sono chiare, non possiamo permettere che vengano pubblicati video, immagini o messaggi che incitino alla violenza. Ecco perché negli ultimi due anni ci siamo dedicati con ancora più impegno a questo lavoro». Morale: se un affiliato di Isis decide di avere un suo profilo su Facebook, può farlo, «ma se parla delle sue attività la sua pagina verrà chiusa».

Per Julie e il suo team di Dublino (nel mondo ce ne sono altri tre, di cui uno in India e due negli Stati Uniti) il lavoro di controllo non si ferma mai. Sette giorni su sette, 24 ore al giorno, si usano algoritmi e programmi che monitorano determinate parole in 27 lingue diverse. «Ma il lavoro è anche di tipo umano. E impieghiamo esperti madre lingua affinché ci sfugga il meno possibile». Risultato: se un miliziano posta anche solo una frase di un comunicato, Facebook interviene immediatamente. E la strategia funziona, dato che il social network di Zuckerberg al momento pare quello meno utilizzato dai miliziani di Al Baghdadi. Quando, dopo la morte del giornalista americano James Foley, la Casa Bianca e il governo inglese hanno chiesto aiuto ai colossi della Silicon Valley per evitare che Isis riuscisse nell’intento di divulgare al mondo il suo messaggio e quelle immagini terrificanti, Zuckerberg è stato tra i primi a rispondere all’appello.

I punti deboli

Battaglia contro la jihad 3.0 vinta dunque? No. Così mentre le bocche di Facebook rimangono rigorosamente cucite sugli investimenti fatti per combattere questa guerra e sul numero di persone adibite al compito, è la stessa Julie a spiegare quali sono i punti deboli della rimozione dei contenuti. «La miglior strategia per sconfiggere la propaganda di Isis non è tanto la censura, ma produrre un contro messaggio alternativo che metta in risalto le loro contraddizioni e la loro follia. Penso a “Je suis Charlie” o a “Bring back our girls”». Contropropaganda dunque: che nasca, però, dal basso. Se infatti Google qualche contenuto alternativo l’ha creato di sua spontanea volontà, a Facebook preferiscono «per il momento» che siano gli stessi utenti a lanciare una narrativa diversa. «In totale autonomia». (fonte)

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