Facebook chiude pagine italiane sul terrorismo islamico

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Il social network di Mark Zuckerberg si era rifiutato in un primo momento di ottemperare alle richieste dei magistrati italiani, preoccupato dal tutelare la libertà d’espressione dei suoi iscritti.

Facebook si arrende e accetta, con riserva, l’oscuramento di due pagine ospitate sulla sua piattaforma, “Musulmani d’Italia” e “Islam Italia”, disposto da un giudice di Reggio Emilia. Da questi gruppi di utenti iscritti al social network erano partite nelle scorse settimane delle minacce esplicite rivolte a una giornalista del Resto del Carlino, colpevole, secondo gli utenti delle pagine, di aver raccontato sul suo giornale la storia di un uomo indagato per terrorismo islamico. Luca Aleotti, un trentenne disoccupato di padre italiano e madre magrebina, era indagato dalla procura di Bologna per aver scritto su Internet alcune frasi che esaltavano l’integralismo islamico all’indomani degli attentati di Parigi.

Sotto lo pseudonimo di Saif-Allah, Aleotti aveva scritto, per esempio, che “non esiste nessun Islam laico o moderato, esiste solo la sottomissione ad Allah”. La procura bolognese l’aveva messo sotto sorveglianza e aveva imposto ai suoi danni il ritiro del passaporto, il divieto di uscire di casa la sera e di frequentare locali pubblici. Sui social network però, Aleotti continuava a fare proseliti e la sua pagina Facebook infarcita di acclamazioni all’islam radicale ha raccolto oltre 11 mila “mi piace”. Un caso molto simile a quello già raccontato sul Foglio e che ha coinvolto Resim Kastrati, espulso nel gennaio del 2015 per aver esultato dopo la strage a Charlie Hebdo sui social network, e per aver manifestato online la volontà di diventare kamikaze per tutelare l’onore del profeta, ora è fra gli animatori di un profilo di musulmani italiani su Facebook.

Dopo l’articolo della giornalista del Resto del Carlino, Benedetta Salsi ha ricevuto minacce pubblicate sulle due pagine Facebook in questione. “La mattina della pubblicazione del mio articolo, sulla pagina Musulmani d’Italia compare un post. C’è la mia fotografia rubata da Twitter e un testo con il mio nome, cognome, età, luogo in cui lavoro. Sono indicata come “islamofoba”, poi pesanti calunnie e invenzioni riguardanti la mia sfera personale e intima, allusioni sessiste e volgarità”, ha dichiarato la giornalista alla Stampa.

La Digos ha aperto un’inchiesta e ha formulato a Facebook una richiesta ufficiale per chiudere le pagine incriminate. Il social network di Mark Zuckerberg però ha rifiutato in un primo momento di ottemperare alle richieste degli inquirenti, preoccupato dal tutelare la libertà d’espressione dei suoi iscritti. Fino a ieri, quando il portavoce di Facebook Italia ha dichiarato che “nel rispetto del procedimento legale in Italia, chiederemo al giudice di riconsiderare se sia appropriato disporre un provvedimento contro un intero gruppo o pagina piuttosto che contro i singoli commenti diffamatori”. Il proselitismo islamico sui social network resta così una zona d’ombra per la lotta al terrorismo, grazie al vuoto legislativo e soprattutto alla carenza di strumenti di coercitivi idonei. Un aspetto sollevato al Resto del Carlino anche dal procuratore capo di Reggio Emilia, Giorgio Grandinetti: “Bisogna fare provvedimenti che non possano essere liquidati dai gestori di Facebook con un “no, io non aderisco”. (fonte)

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