Dodicenne tenta di uccidere madre per iPhone

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L’Ufficio dello Sceriffo della Contea di Boulder in Colorado ha dovuto affrontare nel fine settimana un curioso caso in cui una dodicenne ha tentato di uccidere la madre avvelenandola per ben due volte con l’obiettivo di riavere indietro il proprio iPhone. L’accusa è di tentato omicidio di primo grado, con una pena inferta dopo alcune settimane di indagini che la ragazza dovrà scontare al centro giovanile della Contea perché minorenne.

Nel primo tentativo, la dodicenne aveva aggiunto della candeggina nel bicchiere in cui la madre avrebbe di lì a breve bevuto un frullato. Fiutandone il cattivo odore, la donna ha pensato si trattasse di un errore da parte della figlia in fase di risciacquo dopo il lavaggio, smettendo comunque di bere. Il dubbio sulla volontarietà da parte della figlia, fugato in seguito alla richiesta di spiegazioni alla stessa, si è confermato una volta che ha sentito lo stesso odore provenire da una bottiglia in cui era contenuta dell’acqua.

Un tentato omicidio dovuto alla dipendenza da smartphone, una vera e propria patologia la cui introduzione è stata proposta all’interno del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il manuale delle patologie psicologiche riconosciute ufficialmente. Si chiama nomofobia e ha molte caratteristiche in linea con dipendenze di altra caratura considerate ben più pericolose. Ne abbiamo parlato la scorsa estate, in un articolo in cui specificavamo che basta imporsi alcune regole per riuscire ad arginarne gli effetti.

Ne soffrono moltissimi ragazzi, forse anche inconsapevolmente, della stessa età della ragazza che ha tentato di uccidere la madre: “Ho due figli che, come molti altri ragazzi della loro età, sono come se fossero dipendenti dai propri cellulari”, sono state le parole di Luciana Cordova, residente nella Contea di Boulder, che ha commentato il caso della sua compaesana. “Ho dovuto togliere lo smartphone ai miei figli in alcuni casi e fortunatamente hanno reagito bene”.

Quella della fanciulla “è una reazione estremamente esagerata”, secondo la donna, e che “riflette il modo in cui i nostri ragazzi sono dipendenti da questi oggetti, tanto che la loro mancanza li può portare a compiere gesti così estremi”. Aggiungiamo però che si tratta di casi tanto estremi quanto rari e che la condotta sia stata portata a termine sullo sfondo di una situazione familiare magari più complessa, ma che non è stata approfondita dalle fonti che hanno riportato l’informazione. (fonte)

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