Dati personali online, 8 informazioni da non condividere

Proteggere i dati personali online: da Google ai social, 8 informazioni da non condividere…

Cosa sa Google di noi?

Si chiama «digital footprint», è la traccia tutto ciò che facciamo online. Basta una ricerca su Google con il nostro nome e cognome per capire quanto, un qualunque sconosciuto, può sapere di noi. Ma se inseguire un concetto troppo rigido di riservatezza è controproducente, bisogna evitare è che nostre informazioni finiscano fuori controllo. Ed è più comune di quanto si pensi. Perché, nei casi peggiori, i nostri dati possono essere usati per truffe o furti di identità. E le vittime potrebbero essere anche i nostri amici.

Eppure, comunicare i nostri interessi e le nostre opinioni su Internet è sempre utile perché, per capire realmente chi siamo, le aziende si affidano sempre meno ai curriculum. Mentre una semplice ricerca web può essere rivelatrice. Momenti imbarazzanti, frasi con errori grammaticali, post odiosi. Tutto viene restituito in qualche millisecondo. Ecco allora cosa è giusto condividere online e cosa è meglio tenere per sé.

No alle informazioni anagrafiche

Una buona regola generale è: evitare di diffondere tutte quelle informazioni che servono per compilare moduli di registrazione online. Perché qualcuno potrebbe usare la nostra identità per associarci a un servizio che non vogliamo. Il nostro nome e cognome sono già di pubblico dominio, è inevitabile: è il requisito indispensabile per essere sui social network. Ma possiamo tenere per noi altri elementi della nostra identità.

Tra queste informazioni c’è la data di nascita. Fa sempre piacere ricevere tanti auguri di compleanno, ma comunicarla al mondo non è una buona idea. La maggior parte dei social network permette di visualizzare giorno e mese ma di nascondere l’anno. Può essere un buon compromesso per tutelare la nostra privacy.

Quando comunicare la posizione è pericoloso

Dire al mondo che siamo in un posto esotico può essere liberatorio, ma non è privo di rischi. Soprattutto se usiamo social network fatti per essere aperti a tutti, come Twitter. Per esempio, scrivere che sono iniziate le nostre ferie, che andremo a migliaia di chilometri e che torneremo dopo una settimana può risultare un invito per potenziali ladri.

Organizzare un furto raccogliendo informazioni sparpagliate online non è difficile. Basta aver comunicato su qualche servizio l’indirizzo di residenza o, magari, abbiamo pubblicato foto con l’esterno della nostra casa. O, ancora, abbiamo condiviso il tragitto di una corsa mattutina, puntualmente registrato con il gps di un braccialetto per il fitness.

La località è dentro le foto

La condivisione sui social network non è l’unico modo per ricavare la nostra posizione esatta. Le immagini che scattiamo con gli smartphone hanno la «geotag» abilitata tra le impostazioni predefinite. E cioè le coordinate ricavate con il gps. Queste informazioni sono salvate tra le proprietà delle foto e accessibili a chiunque.

Con i dispositivi Android questa opzione si può disabilitare visitando le impostazioni della fotocamera e deselezionando una voce che può essere «posizione» o «location tag». Con iOS invece è necessario navigare la schermata «impostazioni», poi cercare «privacy» e infine disabilitare «localizzazione». Oppure si possono usare app come Pixelgarde per iOs o GeoBye-Bye per Android.

Mai foto con i minori

Devono essere assolutamente vietate le foto con minori. In questi casi, pubblicare le immagini riservandole alla cerchia degli amici, non è sufficiente. Perché non avremo mai la certezza di chi può entrare in possesso degli scatti: forse un conoscente distratto può perdere il telefono o lasciare il suo account aperto su un pc pubblico.

Se proprio non possiamo fare a meno di pubblicare questo tipo di foto, una pratica consigliata è offuscare i volti dei bambini, poi disabilitare la localizzazione, come abbiamo spiegato nella scheda precedente, e infine evitare tag e chiamarli per nome: i nostri amici sanno già come si chiama nostro figlio e non è il caso di dare queste informazioni a persone sconosciute.

Troppe informazioni per i social professionali

I social network professionali, come LinkedIn o le piattaforme per la ricerca del lavoro possono generare molta confusione. Qui siamo portati a trascrivere tutto ciò che inseriremmo in un curriculum. E non è raro trovare numeri di cellulare lasciati in modo inconsapevole. Perché non siamo mai sicuri di chi vedrà tutto ciò. Questi servizi possono essere una miniera d’oro per i furti d’identità.

Le piattaforme peggiori lasciano tutto in chiaro e anche con una ricerca Google permette di risalire al nostro profilo completo. E poi ci sono servizi non molto sorvegliati che, con procedure abbastanza superficiali, permettono la registrazione come un’azienda alla ricerca di personale. E così, fingendosi un impiegato delle risorse umane, si potranno raccogliere tantissimi dati privati. E allora meglio limitarsi a comunicare il nostro percorso di studi, gli interessi e le competenze. Potremo dare il resto delle informazioni dopo un contatto diretto.

Al bando i documenti di identità

Alcuni servizi online richiedono i nostri documenti per accertarsi della nostra identità. È una pratica che va evitata quanto più possibile, anche se si tratta di un sito affidabile. Perché un dipendente senza scrupoli potrebbe riusarla e organizzare truffe molto pericolose. La fotocopia della carta d’identità e del codice fiscale, spesso, è tutto ciò che serve per aprire un conto corrente online o registrare una carta di credito prepagata. In questo modo potrebbe vendere oggetti inesistenti e imbrogliare molte persone.

Se proprio è inevitabile inviare questi documenti, è consigliabile modificare le immagini scansionate con una scritta trasversale ben visibile nella quale il servizio al quale li abbiamo inviati e la data. Per esempio: «Da usare esclusivamente per servizidigitali.it – 02/05/2017».

Non dire troppo sul nostro lavoro

Se siamo al lavoro e stiamo per consegnare un progetto, oppure siamo in ritardo su una scadenza, è meglio tenere questa informazione per noi. Oppure rimanere molto vaghi, senza citare nomi di clienti o di aziende. Tutto ciò renderebbe inutile qualunque operazione di spionaggio industriale da parte di concorrenti. Potremmo inconsapevolmente gli accordi di riservatezza con il nostro datore di lavoro. E trovarci nei guai.

Arginare lo spam con le email usa e getta

La casella di posta elettronica è la forma base della comunicazione online, ma la comunichiamo con troppa disinvoltura. Il risultato: la nostra email viene invasa da centinaia di messaggi di spam. Anche in questo caso, è sempre meglio non lasciarla a disposizione di chiunque.

Se invece vogliamo registrarci a un sito per pura curiosità e l’email è un prerequisito indispensabile, c’è un’alternativa: le caselle usa e getta. MailDrop, per esempio, permette di creare un di indirizzo che si autodistrugge dopo un intervallo di tempo limitato. E se quel sito non ci interesserà più, la nostra mail personale non verrà invasa. (fonte)

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