Anche in Italia arrivano gli avvocati-robot

Dalla guida delle auto, alla medicina, fino agli studi legali, le intelligenze artificiali stanno facendo il loro ingresso in settori sempre più delicati; con la promessa di affrancare l’uomo dai compiti più ripetitivi e di offrire risultati estremamente precisi in tempi rapidissimi. Quale studio legale, per esempio, non desidera un robot-avvocato in grado di analizzare migliaia di documenti in pochi minuti, classificare le clausole e gestire in maniera autonoma le verifiche sui bilanci delle società?

Nonostante si sia ancora agli inizi, i primi software capaci di compiere questo tipo di lavori stanno iniziando a diffondersi: da ROSS, il robot avvocato sviluppato grazie a Watson di IBM, alla canadese Kyra, per arrivare infine a Luminance, una tecnologia sviluppata dai matematici dell’Università di Cambridge premiata come Best Artificial Intelligence Product in Legal durante il convegno londinese CogX. Luminance è stata adottata da studi inglesi come Slaughter and May, statunitensi come Cravath Swaine & Moore, e anche italiani, com’è il caso di Portolano Cavallo: “È un sistema che usa le tecnologie di machine learning e la statistica avanzata per individuare le ricorrenze o le deviazioni dalla norma, trovando il filo conduttore che lega tra loro un numero esorbitante di documenti”, spiega a La Stampa Yan Pecoraro, socio dello studio Portolano Cavallo. “Tutto questo perché l’algoritmo è in grado di svolgere un’analisi del testo che non si ferma alle parole, ma guarda anche alla sintassi, alla ricorrenza dei termini, al loro ordine e alla loro vicinanza all’interno di una frase. Il nostro compito, in questa fase, è invece di addestrare il software a diventare sempre più bravo a lavorare con la lingua italiana”.

Ovviamente, non bisogna immaginarsi un robot che scartabella tra centinaia di documenti, perché la realtà è molto distante da come ce la si potrebbe immaginare: “È una piattaforma: un sito internet che permette di caricare al suo interno documenti, contratti, atti giudiziari e poi inizia ad analizzarli trovando il filo rosso che li unisce o li differenzia”, prosegue Pecoraro. “Oggi siamo ancora in una fase preliminare; ma è impressionante vedere come le capacità e le performance di Luminance aumentino in maniera esponenziale, settimana dopo settimana”.

Per vedere all’opera un algoritmo capace di scovare dei precedenti legali che possono tornare utili o mettere in relazione tra loro casi diversi, però, si dovrà aspettare ancora un po’: “Da quello che so, Watson di IBM potrebbe offrire delle soluzioni di questo tipo; ma a noi al momento serve più che altro l’analisi dei documenti e l’individuazione dei contenuti, che ci permette di risparmiare tempo e ottenere risultati molto accurati”.

Ma se questi algoritmi sono in grado di lavorare 24 ore su 24, non c’è il rischio che gli studi legali assumano sempre meno praticanti? “In questa fase certamente no, perché la combinazione vincente è data dall’unione di intelligenze artificiali e uomini. In verità, soluzioni di questo tipo possono anche rendere più interessante il lavoro, eliminando gli aspetti più ripetitivi e pedanti e conservando quelli in cui il valore aggiunto dell’avvocato è più elevato”, prosegue l’avvocato Pecoraro. “Non credo proprio che gli avvocati si estingueranno; di sicuro, però, lavorare con queste piattaforme diventerà la norma e quindi cambierà la formazione anche a livello accademico. In Italia, il nostro studio è un pioniere per quanto riguarda l’innovazione, ma si tratta di un processo inarrestabile”.

Resta da capire, quindi, quale sia il punto di arrivo di queste tecnologie. Difficilmente vedremo un robot che fa arringhe in tribunale; mentre potrebbe essere molto meno fantascientifico immaginare che i software abbiano sempre più voce in capitolo anche a livello strategico: “Con l’aumento della capacità di calcolo e delle performance ci si può immaginare ovviamente che il ruolo giocato da queste macchine diventi sempre più importante”, conferma Pecoraro. “Le decisioni, però, saranno sempre prese dai professionisti, mentre i software avranno solo un ruolo di supporto. Anche perché il nostro è un lavoro molto delicato, ed è fondamentale che il responsabile finale sia un uomo”. (fonte)

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