«Stalkerizzare», cioè incrociare i social per sapere tutto di qualcuno

Ora di pranzo. Due ragazze sedute sul treno che porta dal centro della città ai paesini circostanti. Siamo nella provincia di Milano. Avranno 15 o 16 anni, stanno rientrando a casa dopo la mattinata a scuola. Ridacchiano, guardando lo smartphone. Ogni tanto sollevano il capo dagli schermi e se li mostrano a vicenda. Coinvolgono nella conversazione un compagno di classe strappandogli gli auricolari dalle orecchie e un fumetto da sotto il naso. Lui è in piedi, con la schiena appoggiata a uno dei pali del vagone. Ridacchiano tutti e tre. Con l’ approssimarsi di una fermata una delle due ragazze si alza. Si volta verso l’amica: «Anche per oggi lo stalking è finito, ci vediamo domani». Scendendo le scalette che portano alla banchina mima il gesto dei polpastrelli che si agitano sul telefonino per farle capire che le scriverà presto. Probabilmente dopo pochi minuti. L’ altra risponde con lo stesso cenno. Sorridono entrambe.

Il voyeurismo da social

«Stalking»: comportamento persecutorio tenuto da un individuo, lo/la stalker, che impone alla sua vittima attenzioni non gradite che vanno dalle telefonate, lettere, Sms fino ad appostamenti, minacce, atti vandalici e simili. Dal 2009 in Italia è reato, con decine di migliaia di denunce all’anno, soprattutto da parte di donne, che rappresentano più del 70 per cento delle vittime. Possibile che la ragazzina entusiasta, come ogni giorno alla stessa ora, per l’appena conquistata libertà pomeridiana si stesse riferendo a un’attività di questo tipo? No. Stava parlando d’altro: per lei e per i suoi coetanei «stalkerizzare», o «stalkizzare» o «stalkerare» che dir si voglia, significa scegliere una o più persone e analizzarne minuziosamente le esternazioni sui social network. Fotografie, amici comuni, status, commenti altrui. Tutto. Con attenzione e sistematicità. Perché? Per curiosità, divertimento. Con reale interesse, ma non sempre.

Gli «obiettivi»

Il soggetto può essere un amico o un’ amica, un ragazzo/a carino/a da cui si sta aspettando un messaggio galante. Ma molto più spesso è un ex o una ex del ragazzo/a carino. Scovato/a per il gusto di scoprire il passato del vero oggetto del desiderio (di quel momento). O un conoscente, incrociato in un paio di occasioni e agganciato su più piattaforme.

La «caccia al tesoro»

Per le ragazze del treno si trattava di una persona conosciuta mesi prima sulle piste da sci. Avevano chiacchierato per una ventina di minuti al massimo, a pranzo, e conoscevano solo il suo nome di battesimo. La sera stessa, cercando su Instagram l’hashtag della località in cui si trovavano, erano riuscite a risalire al profilo di un amico del ragazzo, che lo aveva taggato in una foto, e poi al suo, da cui avevano ricostruito una nutrita e variegata presenza online. Lungo a raccontarsi e rapidissimo a farsi per chi giocherella spesso — sempre — con questi strumenti. E così può andare a finire che un perfetto sconosciuto destinato a rimanere tale, quantomeno di persona, diventa inconsapevole protagonista di un racconto di cui non si perde una puntata.

Una vita senza noia

«Il film è la vita con le parti noiose tagliate», osservava Alfred Hitchcock nel 1962, quando gli inventori di Facebook e simili erano ancora lontani dall’essere concepiti. Oggi i social network hanno preso il posto delle pellicole? «Sono più che altro l’evoluzione del chiacchiericcio di Paese», spiega lo psicologo Gaetano Gambino. A mutare è il contesto: «Nelle società tradizionali i momenti relazionali erano quelli in cui la comunità si incontrava in spazi comuni, dove il pettegolezzo e l’ osservazione delle vite altrui suscitavano emozioni in chi osservava, e giudicava — spiega Gambino —. Adesso stare insieme vuol dire soprattutto fare cose insieme, come i corsi o la palestra. Di fondo c’ è un maggiore e crescente individualismo. I social network fanno recuperare la dimensione sociale e allo stesso tempo amplificano determinati comportamenti».

Un significato attenuato

Dobbiamo preoccuparci del fatto che uno di questi comportamenti venga giocosamente definito da un termine (da poco) assunto dall’inglese per indicare un pratica pericolosa, deprecabile e fuorilegge? «Direi proprio di no», afferma il linguista Giuseppe Antonelli. «Il significato della parola non è del tutto diverso, è stato solo molto attenuato», prosegue sottolineando che il meccanismo è «un segno positivo del dinamismo della lingua» ed è «tutt’altro che raro e nuovo». «Pensate — invita — alle parole o alle espressioni derivanti dal gergo droghese degli anni 70: “avere un flash”, “essere flashato” vengono utilizzate con totale incosapevolezza della loro origine legata agli effetti delle sostanze stupefacenti». «Emblematico — prosegue — è il caso di “casino”: il ciclista Gimondi usò il termine in tv, alla fine di una tappa. In Rai successe un pandemonio. L’anno scorso, invece l’ha detto persino il Papa ai giovani: “Fate casino, smuovete la Chiesa”. L’attenuazione del significato è fisiologica». Fisiologica e molto rapida, se si pensa alla velocità dell’adozione e del mutamento di «stalking». In nessun modo deve però considerarsi anche attenuazione della soglia di attenzione per una piaga da contrastare con tutte le forze a disposizione della società. (fonte)

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