Silenzio! Facebook ci spia…

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Una funzione dell’app permette a Facebook di ascoltare le nostre conversazioni e proporci pubblicità ad hoc.

A Facebook non basta più raccogliere i nostri dati, spiare i nostri post, studiare i nostri like. C’è chi sospetta che il social da quasi 1 miliardo e mezzo di persone abbia iniziato ad ascoltare anche lo nostre conversazioni al telefono.

Il dubbio è venuto ai commentatori del forum Reddit.com dopo che una settimana fa un ragazzo texano ha aperto la discussione “Facebook ascolta le conversazioni al telefono?“. Un post breve, che ad oggi ha quasi 2mila commenti, in cui il giovane lancia l’allarme raccontando un’esperienza vissuta sulla sua pelle.

Poco dopo una chiamata al telefono con la sua fidanzata, in cui parlava di disinfestare casa, iniziano ad apparire pubblicità sull’argomento. Passano pochi minuti e sullo smartphone di “NewHoustonian”, così si fa chiamare il giovane sul web, spunta l’invito “Ti serve una disinfestazione?”. Senza aver mai cercato nulla in proposito.

Tutto sta nel microfono.

In effetti la versione statunitense dell’app, sia per iOs che per Android, ha una funzione per cui grazie al microfono Facebook ascolta ciò che avviene nell’ambiente. Per il momento non è presente negli smartphone del resto del mondo. In italia neppure. Ma Siri, il software di iOs che funziona da assistente, ed Echo la versione lanciata da Amazon, funzionano proprio con il riconoscimento vocale.

Le parole che oggi diciamo con leggerezza durante le conversazioni potrebbero essere ascoltate, ma soprattutto memorizzate in un futuro neanche troppo lontano nella memoria digitale di questi dispositivi. Le conseguenze sono dietro l’angolo: le nostre informazioni, i nostri gusti e preferenze su qualsiasi cosa ci esca dalla bocca potrebbero essere riutilizzati o venduti agli inserzionisti.

Una miniera d’oro per i colossi mondiali, Yahoo, Google, Skype, che già hanno ricavi esorbitanti da quello che googloghiamo su internet.

Zuck ti ascolta dallo smartphone.

Questa funzione di Facebook è nata per riconoscere canzoni, sigle televisive e film che si stanno ascoltando o vedendo. Qualcosa di simile accade con Shazam, l’app che identifica le melodie in ascolto trovando per noi titoli, autori e album. L’attivazione del microfono è però un’opzione necessaria per il funzionamento dell’applicazione. Si risparmia tempo e la soluzione arriva in pochi secondi.

Le istruzioni che offre Facebook però sembrano non lasciare dubbi: “Non possiamo identificare le conversazioni: i suoni sono utilizzati per trovare un match con il database e non sono conservati”. Aryeh Selekman, product manager di Facebook, interpellato dalla testata online TechChurch, già un anno fa apriva spiragli del tutto diversi: “Oggi non riusciamo a targettizzare pubblicità su questi post, ma ci abbiamo pensato e potremmo farlo in futuro”. Se la possibilità espressa sia già in atto non si sa. Per il momento l’incertezza resta.

Questioni di privacy.

Nulla di nuovo. Già Facebook vende i nostri dati per poi rigirare in base a i gusti personali contenuti pubblicitari. Il cosiddetto “internet based advertising”, una tipologia di marketing online basata sui messaggi promozionali. In italia l’articolo 15 della Costituzione riconosce la libertà e la segretezza delle comunicazioni, definite “inviolabili”. Anche la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sancisce lo stesso diritto. In sostanza se lo scenario diventasse reale in Italia una violazione del genere avrebbe lo stesso peso di un’intercettazione telefonica acquisita illegalmente. In Italia le restrizioni, in teoria il garante della privacy prevede che ogni volta che viene fatto uso dei nostri dati personali sia chiesta un’autorizzazione. Senza contare che Facebook vanta una vasta fetta di minori visto che l’iscrizione è aperta a chiunque abbia più di 13 anni.

La battaglia si combatte nelle aule.

Proprio pochi giorni fa una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha rimesso al centro dell’agenda la tutela dei dati anche fuori dai confini europei. La causa ha visto contrapposti il cittadino austriaco Maximillian Schrems e l’Autorità irlandese per la protezione dei dati in un caso relativo a Facebook. Le nostre informazioni possono essere trasferite a un paese terzo, e quindi utilizzati dall’azienda californiana, ha concluso la Corte, ma solo se questo garantisce un adeguato livello di protezione e, ad oggi gli Stati Uniti non possono essere considerati “a priori” affidabili. Non sappiamo come i nostri dati vengono utilizzati, chi lo fa e con che scopo, non sono rintracciabili. Duro il commento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la privacy: “La Corte ha riaffermato con forza che non è ammissibile che il diritto fondamentale alla protezione dei dati, oggi sancito dalla Carta e dai Trattati UE, sia compromesso dall’esistenza di forme di sorveglianza e accesso del tutto indiscriminate da parte di autorità di Paesi terzi, che peraltro non rispettano l’ordinamento europeo”. Attualmente però manca una risposta coordinata tra i membri dell’Unione in materia di consapevolezza digitale.

I bit, l’oro degli anni duemila.

Un business enorme i cui ricavi che negli Stati Uniti hanno superato quelli della televisione via cavo. Facebook usa un complicato algoritmo che muta continuamente, l’ultimo grande cambiamento un anno fa: non solo il social studia i nostri like e movimenti dall’interno, ma è in grado di rintracciare i nostri movimenti anche nei siti che visitiamo partendo da Facebook. In poche parole Zuckerberg ci vende alle aziende. E con i nuovi scenari gli affari potrebbero lievitare ancora di più. O a vederla come vogliono a Menlo Park, ci stanno facendo un favore, assecondando i nostri gusti. Poco importa se qualcuno ci guadagna. (fonte)

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