A rischio la satira online nella legge contro cyberbullismo

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Si ingloba di tutto, dalla violazione della privacy alla satira politica fino alle azioni che possano “offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime”.

E’ FINITA la pacchia per Renzo Mattei, Cippo Pivati, Gianni Kuperlo e Romano Prody. Da settembre non potranno più scherzare, criticare e fare satira nascondendosi dietro i profili fasulli di Renzi, Cuperlo, Civati e Prodi. E lo stesso vale per tutti quelli che fanno le parodie di Salvini su Youtube. Le commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali, attraverso una serie di emendamenti alla tanto attesa legge sul cyberbullismo, hanno infatti deciso che sarà perseguibile per legge anche chi si sostituisce a delle persone reali su twitter e facebook per farne la parodia come nei casi su citati.

Una norma punitiva.

Brunetta invece forse potrà dormire sonni tranquilli visto che dalla pioggia di emendamenti della legge sul cyberbullismo non sarà più possibile scherzare sulla sua altezza. Nemmeno una volta. Ma cosa è successo? Lo zelo dei parlamentari ha riunito dentro una sola legge fattispecie diverse di reati che vanno dalla diffamazione online alla violazione della privacy e ne ha addirittura modificata una, la 612-bis, prevedendo l’aggravante dello stalking commesso via Internet. Così, una legge che doveva essere dedicata alla prevenzione e tutela dei minori è diventata una legge punitiva che giuristi come Fulvio Sarzana temono potrebbe toccare anche i giornalisti troppo insistenti per avere un’intervista o che pubblicano sul sito del loro giornale spezzoni di conversazioni off the records ma anche, dice l’avvocato, “Un blog scomodo, un commento troppo colorito sul forum, una qualsiasi notizia data su un blog o su una testata, e che riguardano maggiorenni, ricadranno in quella definizione e saranno oggetto di possibile rimozione.”

L’urgenza della legge.

Eppure di questa legge c’è bisogno visto il moltiplicarsi di casi di bullismo in rete tra adolescenti e dell’impennata del fenomeno del sexting, i messaggi a sfondo sessuale via sms e chat. L’impegno dei parlamentari per l’approvazione della legge che risale al gennaio 2014 è giustificato dal fatto che ormai circa 2 milioni di adolescenti passano le loro giornate su Whatsapp, Facebook, Instagram e Snapchat. Sopratutto dopo che secondo un’indagine Istat del 2014 citata in un rapporto di Save The Children e altri 90 soggetti del terzo settore, il 6 per cento di intervistati ha dichiarato di aver subito azioni vessatorie tramite sms, mail, chat o social network nei 12 mesi precedenti la rilevazione.

La definizione.

Ma l’ampiezza della formulazione della legge partorita dalle commissioni congiunte Giustizia e Affari Sociali della Camera dei Deputati riunite il 27 luglio a Roma sembra spingersi parecchio oltre. “Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima.” Insomma, siamo avvisati.

Bullismo.

In aggiunta però la legge adesso si occupa anche di bullismo e non più solo di cyberbullismo, e poi non si occupa più solo dei minori grazie a un emendamento dell’articolo 1 che recita così “La presente legge si pone l’obiettivo di prevenire e contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo in tutte le loro manifestazioni, con particolare riguardo a una strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime che in quella di responsabili di illeciti, privilegiando azioni a carattere formativo ed educativo rivolte anche agli infraventunenni.” Fin qui tutto bene, potremmo dire con Paolo Beni, uno dei relatori della legge in commissione, che, sentito da Repubblica.it ha insistito sull’importanza di prevenzione e formazione, soprattutto nella scuola, per contenere la deriva di tante conversazioni sui social. In effetti la parte dedicata alla scuola pare quella sviluppata meglio visto che ad essa viene affidato un ruolo enorme dicendo che “Ogni istituto scolastico, nell’ambito della propria autonomia, individua fra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del bullismo e del cyberbullismo anche avvalendosi della collaborazione della Polizia postale nonché delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio. ”

Scompare la reiterazione.

Però nella formulazione della legge scompare uno degli elementi tipici delle condotte dei bulli, reali e virtuali, come il concetto di reiterazione. All’articolo 2-bis, la legge infatti mira a prevenire, reprimere e punire “qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche.”

Contenziosi più facili.

Considerata la suscettibilità dei nostri parlamentari e dei vip che non hanno ancora capito che quella internet è sempre una comunicazione a due vie, ci aspettiamo un esplodere di contenziosi. E chi se ne dovrà occupare? Intanto nella legge si prevede che sia gli ultraquattordicenni che i genitori dei minori oggetto delle vessazioni possano rivolgere al gestore del sito internet, del social media, del servizio di messaggistica istantanea o di qualsiasi rete di comunicazione e trasmissione elettronica, nonché al Garante per la protezione dei dati personali, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione, il blocco delle comunicazioni che lo riguardano”. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i gestori dei siti internet interessati devono dotarsi, qualora non le abbiano già attivate, di specifiche procedure per il recepimento e la gestione delle istanze di oscuramento, rimozione o blocco “pubblicati sulla pagina iniziale degli stessi siti.” E poi il Garante privacy dovrà vigilare sul rispetto delle richieste.

Una previsione di legge che fa balzare sulla sedia Guido Scorza: “Non mi piace l’idea di porre sulle spalle dei gestori dei siti internet inutili appesantimento burocratici: direi che chiedere che chi gestisce una qualsiasi pagina web pubblichi un indirizzo di contatto potrebbe essere abbastanza.”

Il testo che va in discussione alla Camera il 12 settembre prevede anche un tavolo tecnico nazionale e un piano nazionale integrato per definire le forme di regolamentazione necessarie a garantire l’efficacia della legge e prevede la partecipazione di una pletora di soggetti che però già per il numero ricorda il fallimento di tante cabine di regia. Ma anche uno scaricabarile di responsabilità per l’ennesima richiesta agli operatori come Google e Facebook di definire i limiti della libertà d’espressione in rete. Per gli emendamenti c’è tempo fino all’8 settembre. (fonte)

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