Postare gattini e spiare i dipendenti, ecco gli errori social che commettono i capiufficio

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Tutti facciamo errori. Anche sui social network. Post e foto imbarazzati, contenuti inappropriati che ci rendono molesti agli occhi dei nostri contatti, persino scivoloni che ci costano il posto di lavoro. Come dimostra il tweet razzista di Justin Sacco: “Sto andando in Africa. Spero di non prendere l’Aids. Sto solo scherzando. Sono bianca”, è il testo di una battuta cinguettata prima di volare in Sud Africa che la top manager ha pagato al suo atterraggio con il licenziamento. In tronco. L’ennesima dimostrazione che oggi un curriculum professionale immacolato non può non tener conto della web reputation, cioè di quel che combiniamo durante la vita digitale. E se quest’assunto vale a livello impiegatizio, come per gli aspiranti impiegati, a maggior ragione deve essere recepito da chi occupa una posizione di prestigio. Ancora di più se si trova nei panni di un amministratore delegato. E il buon nome dell’impresa di cui detiene il controllo dipende pure dall’immagine che, contenuto dopo contenuto, costruisce attraverso le nuove piattaforme di comunicazione.

Un’attenzione particolare la merita Facebook, dove non c’è dilemma “morettiano” che tenga: sì, è meglio esserci. Anzi, ignorarlo è il primo grande errore che commettono i Ceo, secondo un decalogo di cattive abitudini da evitare appena stilato dal quotidiano statunitense The Wall Street Journal. Perché la presenza sulla rete sociale più popolare del mondo, che conta oltre un miliardo e 700milioni di utenti e su cui trascorriamo circa 50 minuti al giorno, può svolgere un ruolo fondamentale per supportare la crescita di un’azienda. E fornisce un canale importante per instaurare un rapporto di reciproco scambio con dipendenti, clienti e pubblico. Un esempio pratico recente tutto made in Italy: la storia di Lisa e Sara Gucciarelli, ideatrici di Buru Buru, una compagnia che si occupa di vendere oggetti d’artigianato e d’arredamento per la casa e che grazie alla creazione di Mark Zuckerberg ha misurato un balzo del 30% del fatturato. Storia emblematica di come le piccole e medie imprese all’avanguardia riescano a sfruttare il social blu per spingere il proprio business. Mentre, sul fronte opposto, rimangono molti i dirigenti di grandi compagnie che lo snobbano, considerandolo un “gioco per ragazzini”.

C’è, però, da dire che anche esserci non è così semplice. Utilizzarlo in maniera non efficace può avere persino un impatto negativo sia sull’autorevolezza dello steso Ceo sia sull’impresa. Cosa ovvia, da ribadire: più è importante quest’ultima e più il profilo sarà esposto. Così è bene curare al meglio la propria presenza. Non fare tutto da soli, bensì affidarsi a un team, anche se come scrive Alexandra Samuel, autrice del libro ‘Work smarter with Social Media’ e ricercatrice nel mondo hi-tech: “È essenziale che i Ceo revisionino ogni post, in modo da assicurarsi che suonino come la loro personale e autentica voce”. Poi: postare, ma non troppo. È consigliato un aggiornamento minimo a settimana.

E se è giusto che la maggior parte dei contenuti abbia a che fare con il business, un pizzico d’umanità non può mancare. “Un buon modo per raggiungere il risultato è identificare un paio di interessi personali di cui l’amministratore delegato può occasionalmente parlare sul social, come una band o la squadra preferita, la filantropia o un libro”, aggiunge l’analista. Modo sbagliato: condividere foto e video di gattini, o di ogni singolo pranzo. Frivolezze che potrebbero far dubitare i clienti riguardo alle priorità date. Utile per salvarsi da qualsiasi figuraccia sono le liste: selezionarle permette di rendere visibili alcuni post solo a determinati individui che si conoscono al di là dello schermo ed evitare l’ennesimo errore, ovvero quello di aprire più profili. Un peccato veniale è invadere la privacy dei dipendenti: solo perché dirigi un’azienda non vuol dire che sei autorizzato a spiare chi ci lavora, e inviare a tutti loro una richiesta d’amicizia, però devi accettare quelle che arrivano. Ti tocca. Ultimo errore, nella lista del The Wall Street Journal, sta nel non sfruttare a pieno le potenzialità del network che può essere usato per indagini di mercato, o per consigli riguardo a progetti realizzabili, e far sentire maggiormente coinvolti tanto gli impiegati quanto i clienti.

“Serve la patente per usare Facebook”, commenta Andrea Barchiesi, amministratore delegato di Reputation manager, una società che dal 2004 si occupa di influenzare e monitorare la percezione che il web ha di un marchio. “Ma oggi per un dirigente è fondamentale confrontarsi con la Rete, il che non vuol dire fare qualche tweet ogni tanto bensì essere in grado di gestire diversi canali. I social network dovrebbero essere usati e padroneggiati tutti, veicolando gli stessi messaggi, ma facendo attenzione al differente registro linguistico da usare in ognuno di loro. In Italia si è ancora refrattari al loro impiego, è sbagliato perché una parte significativa di popolazione è ormai online. Anche se io non consiglierei di partire dalla piattaforma di Mark Zuckerberg, che è la più complessa da usare e quella in cui può essere più facilmente attaccato. Prima comincerei da Twitter e LinkedIn”. Attenzione: pure in quest’ultimo caso non si è esenti da regole e sbagli. Ce lo spiega Antonella Napolitano, co-autrice di ‘LinkedIn per aziende e professionisti’ (Apogeo Editore). “Oltre a non esserci, cattiva abitudine sempre valida, a maggior ragione per un Ceo per il quale LinkedIn è un indicatore di riconoscibilità e credibilità, un altro errore è esserci con un profilo incompleto o che trascuri alcune informazioni di base. Sono importanti: una foto appropriata; un titolo lavorativo coerente; una personalizzazione del link; un riepilogo sintetico e ben fatto, non un semplice elenco di cose ma che sia in grado di dare un’idea immediata di chi siamo e di ciò che sappiamo fare. Non va scritto in terza persone e ovviamente, nel caso di un amministratore delegato, deve aderire il più possibile al brand che rappresenta, pur senza snaturarne la personalità”.

Un decalogo, realizzato dal The Wall Street Journal, punta i riflettori sulle cattive abitudini che gli amministratori delegati dovrebbero evitare sul social network di Mark Zuckerberg

Ignorarlo. Facebook è “roba da ragazzini, non per persone serie”. Se vi rifiutate d’iscrivervi per questo motivo, sappiate che la vostra tesi fa acqua da tutte le parti. La piattaforma di Mark Zuckerberg conta oggi un miliardo e 600milioni di utenti in tutto il mondo. E non esserci è il primo errore da evitare.

Tutto pubblico. È essenziale per i Ceo utilizzare le liste di amici: selezionandole è possibile condividere determinati contenuti solo con gli utenti che si conoscono al di fuori dello schermo.

Fare tutto da soli. È meglio affidarsi a un team di persone che controlli e produca i nostri contenuti. Anche se l’amministratore delegato deve controllare di persona ogni post in modo che risulti autentico.

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