Quando e perché il medico spia il paziente su Facebook

Ricercare i propri sintomi su Google è una pratica molto diffusa tra le persone comuni. Ma allo stesso tempo, può anche succedere che è proprio il medico di fiducia a cercare indizi online sullo stato di salute del paziente. Come riporta The Conversation, il 16% dei medici australiani ha ammesso (in una ricerca del 2014) di farsi un’idea delle condizioni di salute dei propri assistiti andando a spulciare i loro profili Facebook o digitando il loro nome sul motore di ricerca. Risultati simili per altri due studi: uno realizzato negli Stati Uniti nel 2011 e uno in Canada nel 2015.

Molti professionisti dicono di farlo per scoprire la verità sullo stile di vita dei pazienti, altri per prevenire eventuali comportamenti scorretti, abusi e problematiche psicologiche, altri ancora per semplice curiosità e abitudine. E il 40% di loro, intervistati dai ricercatori dell’università di Sidney, affermano di non considerare inappropriato questo comportamento.

Secondo la ricercatrice Merle Spriggs del Children’s Bioethic Centre di Melbourne, basare una diagnosi su informazioni non verificate o non validate da prove scientifiche può provocare danni al paziente stesso. «Se un medico vede la foto di un paziente che beve alcolici e quella stessa persona è in lista d’attesa per un trapianto di fegato, quest’ultimo potrebbe perdere l’occasione di ricevere un organo nuovo. Ma allo stesso tempo però, non ci sono prove che quella foto sia stata scattata prima dell’operazione», spiega la donna. Insomma, se già in un’altra ricerca del 2011, più della metà degli adolescenti intervistati ammetteva di pubblicare contenuti falsi sui social network, nessuno può ritenersi sicuro che le informazioni pubblicate in rete siano vere.

«Allo stesso tempo, i medici sono obbligati ad agire (in particolare nel caso di minori ndr.), per questo motivo è meglio parlarne prima con i propri pazienti e fare le domande giuste. Questi ultimi, però,non dovrebbero rendere visibili a tutti i propri profili», conclude la ricercatrice. (fonte)

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