Pedofilia, ragazzo costretto sul web a coinvolgere il fratellino

polpossPensava di chattare con una coetanea, ma era un uomo. Il molestatore condannato a 8 anni. Ora è indagato anche il 15enne per abusi

Adescato in chat da una finta ragazzina e vittima di ricatto sessuale su Internet, a 15 anni si è ritrovato costretto, per evitare che le sue immagini compromettenti fossero divulgate in Rete a familiari e amici sotto Natale, a compiere a sua volta atti di pedopornografia sul fratellino di 12 anni, sempre a beneficio dell’uomo che lo ricattava. Ed ora che al Tribunale di Milano per queste violenze sessuali virtuali (traumatiche pur senza che ci sia mai stato contatto fisico) una condanna a 8 anni ha incarcerato il pedofilo che lo intrappolava, al 15enne resta l’inevitabile coda del dover comunque affrontare da indagato un processo minorile per gli abusi oggettivamente compiuti (pur sotto ricatto) sul fratellino. Una storia spietata nel mostrare gli spesso sottovalutati rischi sociali e giuridici insiti in un uso non consapevole di Internet da parte dei minori.

Adescato e ricattato

L’«aggancio» in Rete avviene due anni fa, quando il 15enne, alla scoperta delle prime esperienze con ragazzine della sua età, crede di chattare appunto con una coetanea: il nome apparente è quello di una ragazza, la foto di profilo pure, e soprattutto durante le chat il ragazzo vede nella webcam una ragazza davanti al computer. Solo che è un trucco del pedofilo: si nasconde dietro il finto nome di una ragazzina (scontato), ha caricato una finta foto di ragazzina (facile), e ha fatto in modo (meno intuitivo) che durante la chat la webcam proietti all’interlocutore un’ingannevole filmato di una ragazzina al computer. Così, giocando sull’esuberanza del 15enne al cospetto telematico di una finta coetanea maliziosa, l’uomo carpisce all’adolescente immagini di esplicito contenuto sessuale. È così che il ragazzino resta impigliato nel ricatto. Che prima dura parecchio su di lui, e poi si tramuta in un’altra imposizione: produrre analoghe immagini pedopornografiche del fratellino 12enne, pena la minaccia di mettere in circolazione e inviare agli amici del 15enne su Facebook le sue foto sessuali.

Incastrato dal celulare

Come tutti i ricatti, cedere non serve a liberare il ricattato dal giogo. Il 15enne è preda dell’ansia, lo angoscia aver coinvolto e reso vittima pure il fratellino, si avvicina Natale e sotto le feste il ricatto si fa più insopportabile. Accenna una confidenza a una cugina. Ed è la sua salvezza: la parente lo convince a denunciare chi lo sta angariando, il fratellino conferma la storia, scatta la perquisizione a carico dell’uomo in una cittadina della Lombardia (non si danno qui altri dettagli per non fare identificare le vittime). Ma la perquisizione fallisce: non si trovano materiali pedopornografici, né computer, né telefonini. Il sospetto è che l’uomo sia stato più veloce e sia riuscito a far sparire tutto ciò che poteva incastrarlo. Ma dall’esame dei tabulati telefonici il pm milanese Cristian Barilli scopre che l’indagato ha commesso un errore: proprio durante la perquisizione ha telefonato a un avvocato per nominarlo difensore. Ovvio, che c’è di strano? C’è che l’ha fatto con un cellulare che, sebbene non sia poi mai stato trovato, risulta lo stesso che aveva operato le connessioni Internet nei giorni delle chat del ricatto sessuale al 15enne: e il fatto che da quell’apparecchio sia partita la telefonata all’avvocato, durante la perquisizione, dimostra che quel telefono (pur mai trovato) era nella disponibilità dell’uomo. Sembra ancora poco, ma su questo elemento il gip Luigi Gargiulo si sente di fondare l’arresto dell’uomo. Che, proprio mentre gli inquirenti temono di avere ben poco d’altro contro di lui, al primo interrogatorio ammette, confessa, si sfoga come spesso accade a chi nell’arresto trova quasi una liberazione dai propri impulsi. Ora il giudice Fabio Antezza gli ha inflitto 8 anni di carcere (già scontati di un terzo per il rito abbreviato) per violenza sessuale, pedopornografia e sostituzione di persona. E al 15enne, finalmente liberato dalla trappola, resta da gestire la probabile «messa alla prova» nel processo su quelli che, per la giustizia minorile, restano comunque abusi commessi sul fratellino. (corriere)

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