Ordine di Trump, “Non rispettate la privacy dei non americani”

C’è un muro che Donald Trump è pronto non a costruire ma ad abbattere: è la protezione dei nostri dati personali. Nel primo mese e mezzo alla Casa Bianca, The Donald ha già lanciato l’assalto alla riservatezza: a essere più ‘nudi’ non saranno solo gli americani, ma soprattutto i ‘non statunitensi’, europei inclusi.  Da sempre morbido con la sorveglianza di massa e “nemico” della privacy, Trump mette a segno le prime mosse presidenziali, incrinando pure i rapporti con Bruxelles e il già fragile accordo Privacy Shield – “Siamo vigili”, ci conferma la commissaria Vera Jourova. Con l’ordine esecutivo sulla sicurezza, il presidente chiede di non rispettare la riservatezza dei “non americani”, rendendo così più vulnerabili immigrati, lavoratori, studenti, turisti e creando fibrillazioni con Europa e Canada. Le associazioni per i diritti civili suonano l’allarme: “Temiamo violazioni e discriminazioni”. Intanto gli uomini di Trump mettono a segno nuovi colpi: Ajit Pai, il repubblicano a capo dell’agenzia per le comunicazioni, ha appena sospeso le tutele dell’era Obama per la privacy, mentre il segretario John Kelly dichiara che le ambasciate potranno pretendere le nostre password social. Ecco cosa è a rischio, e perché.

Colpo di spugna sull’era Obama. La prima sforbiciata ai diritti vale anche per gli americani: i provider potranno fare incetta di dati sulle nostre abitudini di navigazione, sul contenuto delle comunicazioni, sulle app in uso, sullo stato di salute, su dove ci si trova, sui figli o sulle operazioni finanziarie, senza avvertire nemmeno. Obama era riuscito a impedirlo: con lui, la Fcc, l’agenzia governativa Usa per le comunicazioni, aveva messo a segno due importanti conquiste. Aveva blindato la neutralità della rete, cioè l’internet ”uguale per tutti. E aveva confezionato un pacchetto di regole per proteggere la privacy dei cittadini: niente informazioni sensibili, senza il consenso degli interessati. Poi però è arrivato Trump, e con lui le redini dell’Fcc sono finite in mano al repubblicano Ajit Pai. Nemico dichiarato della net neutrality, Pai si è affrettato a bloccare il pacchetto per la privacy: sarebbe dovuto entrare in vigore proprio a marzo.

“Niente riservatezza per i non americani”. Nel suo ordine esecutivo “sulla pubblica sicurezza”, Trump lo mette nero su bianco: “Bisogna esser certi che la tutela della privacy non venga fatta valere anche per chi non è cittadino statunitense o non risiede nel Paese in modo regolare”. Il fatto è che la legge Usa sulla riservatezza, il Privacy Act del 1974, nasce per tutelare esclusivamente gli statunitensi, ma da Bush in poi la protezione si allarga ad alcune categorie. Con Trump, l’indicazione è di fare una brusca retromarcia. Ad essere più ‘nudo’ agli occhi del governo sarà in particolare chi è immigrato negli Usa per lavorare o per trovare rifugio, così come i ragazzi che si trovano nel Paese per studiare e i turisti.

“E ora consegnaci la password”. I campanelli d’allarme squillano. Sin da gennaio il presidente ha annunciato che pubblicherà ogni settimana una “lista dei crimini degli immigrati”, ora le misure anti-riservatezza potranno inasprire il clima. “La manovra di Trump contro la privacy consentirà di rilasciare nomi e informazioni private di studenti, lavoratori, rifugiati, facilitando deportazione e detenzione dei non statunitensi”, teme l’esperta Neema Singh Giuliani di Aclu (American Civil Liberties Union), la più grande associazione per i diritti civili del Paese. Un assaggio dell’aria che tira arriva pure da alcuni esponenti del governo. John Kelly, segretario alla Sicurezza, ha dichiarato a febbraio che le ambasciate Usa potranno chiedere la nostra password dei social network. “Sì, potremmo voler entrare nei loro account social, con la loro password”, dichiara Kelly riferendosi in particolare a chi proviene dai sette Paesi ‘banditi’ da Trump. Ma più in generale, l’idea è: se chiedi un visto, allora l’ambasciata potrà domandarti la password dei social per ‘farti lo screening’.

Privacy Shield a rischio, Europa e Canada in allarme. L’ordine ‘anti privacy’ di Trump, così minaccioso verso la privacy dei ‘non statunitensi’, crea tensioni pure con Bruxelles. Il fatto è che da quando la Corte europea di Giustizia ha messo in guardia dalla sorveglianza di massa praticata negli Usa, dichiarando non valido il trasferimento dei nostri dati oltre oceano, l’Ue e Washington hanno dovuto trovare un nuovo equilibrio. Morto Safe Harbor, è nato Privacy Shield, una nuova modalità per far viaggiare i dati ‘sicuri’. Ma se già con Obama gli attivisti della privacy lo ritenevano debole, ora l’accordo risulta fragilissimo. Gli europarlamentari pro-privacy come il tedesco Jan Albrecht (Verdi) sono in allarme, le associazioni (come Human Rights Watch e Aclu) scrivono lettere preoccupate.

E la Commissione? Lo abbiamo domandato al gabinetto di Vera Jourova, la commissaria alla Giustizia ‘madrina’ del Privacy Shield. “Abbiamo chiesto chiarimenti a Washington”, fa sapere da Bruxelles. “Le autorità Usa ci hanno risposto che l’ordine esecutivo di Trump non avrà impatti sullo Scudo per la Privacy. Ma rimaniamo vigili, e a fine marzo incontrerò le mie controparti statunitensi”. Vigilissimo è anche il Canada, dove fino al 90% del traffico internet passa dagli Usa: l’ordine esecutivo ‘anti riservatezza’ ha spinto decine di accademici e di attivisti a chiedere ad Ottawa di indagare. (fonte)

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