Offendere su Facebook può costare ventimila euro

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Offese su Facebook: palermitani condannati  devono 20.000 euro per i danni ad un ex compagna di scuola, che hanno preso in giro sul più popolare tra i social network, paragonandola in diversi post a Mariangela, la figlia di Fantozzi, e creando addirittura nel 2009 un gruppo su Facebook con i toni parecchio pesanti.

La vicenda la racconta oggi La Repubblica, nell’edizione di Palermo:

«Tutti pazzi per…», l’avevano chiamato. Primo post, una foto scattata durante una gita. Secondo, un’immagine del personaggio che interpretava la figlia di Fantozzi. Con relativa considerazione:«Le gemelle ».

E’ stato il fidanzato della ragazza presa di mira che aveva protestato on line circa le offese. Senza però ottenere un granché. Da qui, la decisione di presentare una denuncia per diffamazione. Da qui il processo e la condanna.

Si legge nella sentenza:«Gli utenti di Facebook sono pienamente consapevoli dell’amplissima diffusione delle notizie e delle immagini impostate, inserite o taggate sul sito e come, una volta inserite, vi sia concreta possibilità che le stesse rimangano su Internet, indipendentemente dall’oscuramento di un profilo».

Va aggiunto che ormai i tribunali sono intasati da azioni risarcitorie per offese su Facebook.  Sul piano penale, è di qualche giorno fa la sentenza del tribunale di Catanzaro che  ha emesso una condanna a 8 mesi di reclusione, oltre il risarcimento economico che dovrà essere determinato in separato giudizio, nei confronti di una persona che ne aveva offesa pubblicamente un’altra sul social network.

Bisogna tenere presente che postare un commento offensivo sulla bacheca di Facebook della persona offesa integra il reato di diffamazione a mezzo stampa. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24431/2015, ha stabilito che inserire un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione.

La Cassazione si confronta con l’utilizzo illecito e smodato dei cosiddetti social network, e sottolinea la diffusività delle affermazioni che compaiono su tali siti. Proprio in ragione del fatto che i commenti che compaiono su tali social network hanno una diffusione capillare e potenzialmente illimitata, la Cassazione ritiene che le offese espresse in tal modo debbano ritenersi aggravate, come se commesse a mezzo stampa. (fonte)

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