Non taggarmi, il mio capo mi segue su Facebook

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Non solo selezione, ma anche controllo: cresce il numero di persone licenziate per aver tenuto comportamenti discutibili sui social network

Dopo una serata fra amici, e qualche bicchiere di troppo, ecco che vi svegliate la mattina seguente con foto compromettenti pubblicate in ogni dove.”Ma sono davvero io quello con la carta igienica in testa e i pantaloni stracciati?” Che cosa penserà il vostro capo guardandole a colazione? Forse si farà una risata. Forse.

Perché il numero di persone licenziate per motivi legati a contenuti compromettenti pubblicati sui social è sempre più in crescita – l’ultimo caso è quello di Rakesh Agrawal, un dirigente di PayPal allontanato dopo una serie di tweet di insulti ai colleghi – e molti datori di lavoro controllano la presenza online dei loro candidati prima di prendere una decisione definitiva. La cosa non vi tocca? Secondo una ricerca del 2013 di CareerBuilder, il 39% dei datori scava a fondo nella vita virtuale di possibili nuove leve, e il43% ha ammesso di aver cestinato alcuni CV a causa di foto e informazioni inappropriate (50%), uso ostentato di droghe o alcol (48%) e insulti al datore di lavoro precedente (33%), ma anche evidente povertà di linguaggio (30%), commenti discriminatori (28%) o bugie sulle proprie qualifiche (24%).

Al contrario, il 19% ha ammesso invece di aver trovato informazioni che l’hanno convinto a procedere con un’assunzione del candidato, come ottime doti comunicative o un profilo professionale particolarmente curato.

Certo è che l’attenzione ai canali social può essere fuorviante per le aziende, che rischiano di escludere possibili fuoriclasse semplicemente perché non condividono la loro “ironia” online. Quindi forza: rimuovete i tag da tutte le foto in cui la carta igienica, invece che essere in bagno, si trova nel posto sbagliato. (wired)

 

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