Neutralità della rete, le cinque cose da sapere

5COSEPaghiamo il canone per l’Adsl o la fibra e su internet facciamo ciò che vogliamo, quando vogliamo, senza limiti: inviamo e-mail, navighiamo sui siti, scarichiamo film o li guardiamo in streaming, ascoltiamo musica, giochiamo per ore a videogame in alta definizione. Ebbene, quello che ci sembra il fatto più scontato del mondo, potrebbe non esserlo.

Già in passato alcuni operatori hanno limitato o sbarrato alcuni accessi, soprattutto a download via sistemi peer-to-peer o a telefonate tramite tecnologia VoIP, per intenderci Skype e affini. La spiegazione ufficiale era che ciò servisse per evitare che l’ingordigia, gli eccessi di alcuni, rallentassero tutti gli altri utenti. Ma anche, secondo letture più maliziose, per privilegiare determinati servizi (per esempio quelli di telefonia meno noti o proprietari, che invece funzionavano regolarmente) a scapito di altri. È lecito tutto ciò? Secondo i sostenitori della neutralità della rete, assolutamente no.

CHE COS’È
La «net neutrality» è un principio che afferma la necessità di non limitare in alcun modo il traffico nella rete. Gli operatori devono consentire ai computer di scambiarsi i dati (i famosi pacchetti) senza disparità di trattamento tra l’uno e l’altro. O senza esigere balzelli dai fornitori o imporre tariffe più elevate agli utenti per contenuti particolarmente gravosi per la banda come lo streaming video. Insomma, «senza discriminazioni, restrizioni o interferenze, a prescindere da chi invii i dati, chi li riceva, la loro tipologia, il contenuto, il dispositivo, il servizio o l’applicazione», per citare una definizione data dal Parlamento europeo.

COSA STA FACENDO L’EUROPA
Strasburgo è particolarmente attivo in questo settore e ha appena votato a favore di una legge che potrebbe rendere obbligatoria l’applicazione del principio appena citato. Nessun operatore che opera all’interno dei confini dell’Unione potrà dunque dare preferenza a un servizio rispetto a un altro, assicurando in via teorica che tutti i consumatori ricevano la stessa massima velocità possibile indipendentemente dalla tipologia delle loro attività on line. Certo, ci sono fattori di partenza che rallentano la fruizione – per esempio i server intasati di un popolare sito di videogme multiplayer o una piattaforma di film e serie tv – ma questi intoppi non possono dipendere da una volontà specifica degli operatori. Perché il pacchetto di norme sia operativo serve il via libera del nuovo Parlamento che si insedierà dopo le consultazioni del prossimo 25 maggio e ci vorrà la ratifica dei singoli Stati, ma se tutto andrà liscio sarà cosa fatta entro la fine dell’anno.

IL DIBATTITO NEGLI STATI UNITI
Oltreoceano si guarda con molta curiosità e attenzione alla decisione dell’Unione Europea. La FCC, laCommissione delle comunicazioni federali, sta studiando una norma che impedisca agli internet provider di addebitare in modo differente il consumo di precise tipologie di contenuti e invita gli utenti stessi a segnalare eventuali violazioni aprendo un reclamo. A rendere pressante la questione è ilbattibecco sorto tra Netflix e il colosso delle tlc AT&T che chiede al gigante dello streaming di pagare per il traffico (enorme) che la piattaforma genera sulle sue reti. Un costo che, però, rischierebbe di essere scaricato sui clienti finali. Almeno su quelli che utilizzano la tecnologia Adsl.

LA POSIZIONE DEI BIG DELL’HI-TECH
Già, perché la situazione non è così chiara come la logica potrebbe suggerire. La stessa Netflix, che tramite un post del suo boss Reed Hastings aveva chiesto «una forma più forte di neutralità della rete, che impedisca ai provider di servizi internet di esigere un dazio per servizi come Netflix, YouTube o Skype», a febbraio avrebbe pagato di sua iniziativa il gigante del cavo Comcast perché il suo servizio streaming avesse una via preferenziale sulla rete e consentisse agli spettatori di ottenere una qualità migliore per film e serie televisive. Anche Cupertino, è notizia di fine marzo, sarebbe in trattative con la stessa Comcast per un trattamento analogo per una nuova offerta in streaming tramite la Apple Tv. Google, invece, è schierata apertamente dal 2006 a favore di una totale net neutrality: «Oggi internet è un’autostrada sulla quale chiunque, non importa quanto grande o piccolo, tradizionale o non convenzionale, ha uguale accesso. Ma i monopoli della telefonia e del cavo, che controllano quasi tutto l’accesso a internet, vogliono il potere di scegliere chi deve avere accesso alle corsie ad alta velocità e quali contenuti devono essere visti per primi e in modo più veloce» si legge su un post sul sito ufficiale. Mountain View ha sempre sventolato la bandiera dell’«open internet».

QUALI SONO LE PROSPETTIVE
La questione è complessa e dunque è quantomeno semplicistico limitarsi ad accusare gli operatori di ingordigia o di volontà di far cassa tassando le aziende più fortunate e i contenuti più gettonati. Nel frattempo la rete si sta facendo oltremodo trafficata, gli utenti aumentano, qualcuno paventa il rischio della saturazione o che almeno, di questo passo, la velocità complessiva possa diminuire alla luce di servizi via via più avidi di banda. Per arginare il rischio occorre investire su infrastrutture adeguate, di ultima generazione, ma la concorrenza intanto impone di abbassare i costi degli abbonamenti e dunque i margini si riducono in modo importante. Dall’altra parte, l’unico esito non può essere una serie di balzelli a tappeto, né si può ignorare che esista una fetta di utenti disposta a pagare di più per un servizio migliore. Una probabile via d’uscita è un’evoluzione, una trasformazione, peraltro già in corso, degli operatori in fornitori, anche, di contenuti. Puntando sulla qualità e varietà dell’offerta o solo sulle giuste partnership con pacchetti ad hoc, senza sbarrare in alcun modo la strada alla concorrenza, potranno godere per primi di una rete aperta che esce arricchita da una competizione sana e premia i migliori. Facile a parole. All’atto pratico, tuttavia, un bel po’ complicato. (panorama)

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