Lotta alla pedopornografia, anche Facebook scansiona le foto

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Dopo Google e Microsoft, anche Facebook si è tecnicamente organizzata per combattere la pedopornografia. ConPhotoDNA, un software che funge da scanner e analizza foto e immagini caricate per verificare se presentano materiale esplicitamente pedo pornografico.

Il funzionamento è semplice: PhotoDNA controlla ogni immagine caricata;  se sono presenti irregolarità, l’immagine viene immediatamente oscurata e l’account dell’utente viene bloccato e segnalato alle autorità competenti che faranno partire le indagini.

Un sistema che dà i suoi frutti: è di qualche giorno fa la notizia di un texano arrestato per pedofilia dopo una segnalazione da parte di Google. L’arresto è stato possibile in seguito al controllo della casella di posta elettronica Gmail, dove era stato trovato materiale pedo pornografico.
La soffiata è stata fatta da Google stessa, che ha contattato il Ncmec (National Center for Missing and Exploited Children) centro statunitense per bambini scomparsi e sfruttati che gestisce un servizio attraverso cui le aziende e le società che operano nel web trasmettono informazioni alla polizia su presunti abusi ai danni di minori.

Se Google scandaglia la posta, Facebook analizza le immagini, attraverso hashtag speciali che indicheranno le foto come illegali. Il software si basa su algoritmi informatici capaci di riconoscere foto e immagini che ritraggono minori sessualmente esposti o abusti (e quindi non le foto di tutti i bambini) e funziona anche su Twitter e Instagram.
Un passo in avanti nella lotta alla pedofilia, che porta però a sconfinare in un altro, intricato tema, quello cioè della privacy. Una questione delicatissima, che crea inequivocabilmente due schieramenti opposti. Da una parte, i sostenitori della lotta alla pedofilia con qualsiasi mezzo, accettando anche la violazione della privacy su Internet, dall’altra quelli che temono di perdere il diritto alla riservatezza e che vedono il confine tra pubblico e privato assottigliarsi sempre di più.

Di fronte a queste preoccupazioni, Google – che dal 2008 utilizza questo sistema automatico – ha fatto sapere ai suoi oltre 400 milioni di utenti che i controlli riguardano esclusivamente questo reato.
In realtà, le condizioni di utilizzo di Google sono molto generiche e non specificano né il tipo di contenuto né il servizio nello specifico. Perciò, potrebbe succedere di ricevere per sbaglio materiale illegale – anche tramite spam – e quindi passare sotto lo scanner  e venire segnalati. Si potrebbe inoltre diventare vittime inconsapevoli di comportamenti deviati da parte di terzi e finire indagati e denunciati ingiustamente.
A rincuorarci è il fatto che non sono Google e Facebook a processare, ma le autorità giudiziarie che fanno partire indagini molto accurate. Inoltre le stesse autorità sanno che il materiale pedo pornografico viene scambiato più tramite chat e siti del dark web, per questo dal 2011 esiste  l’operazione “Torpedo” che dà  la caccia ai pedofili usando malware e controllando gli utenti che installano Tor, navigando  in modalità anonima.

Poi c’è un aspetto etico, denunciato su molti forum, sul fatto che sia una società privata a decidere cosa sia reato e cosa no e quale sia il bilanciamento etico che determina il punto in cui il controllo faccia scattare la denuncia.
Nel frattempo, però, gli stessi colossi della Rete pensano a realizzare dei margini di riservatezza per gli stessi utenti che spiano: Zuckerberg, starebbe infatti pensando a nuovi spazi privati per condividere contenuti e pensieri senza timore di essere “spiati”, mentre Google fornisce un modulo per cancellare tutte le informazioni che lo riguardano, garantendo il diritto non alla privacy, ma all’oblio. (fonte)

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