Link tax, come potrebbero cambiare le notizie sul web

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La Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica che scadrà a metà giugno per chiedere ai cittadini degli Stati membri la loro opinione su come tutelare il diritto d’autore online, proponendo quella che gli addetti ai lavori hanno soprannominato “link tax”: una tassa sui collegamenti ipertestuali, sulle citazioni e gli estratti (come quelli di due righe che precedono i link quando si fa una ricerca su Google). A spingere per una maggiore tutela dei propri contenuti sono i grandi editori europei che ne denunciano lo sfruttamento da parte dei motori di ricerca e le altre grandi piattaforme digitali.

«Non è una tassa», sostiene Angela Mills Wade, direttrice del Consiglio europeo degli editori, rispondendo su Twitter agli attivisti che si stanno mobilitando con la campagna “Salva il link”. Per spiegare la posizione degli editori, rimanda al link della loro pagina Web, dove si sostiene la necessità di un’autorizzazione da parte degli editori dei contenuti linkati e/o citati e di pagarli per l’usufrutto.

La questione non è nuova: l’idea di una link tax è nell’aria da quasi un anno e la Commissione europea l’aveva proposta in un documento al Parlamento europeo lo scorso dicembre. Negli ultimi anni sia Germania che Spagna hanno provato a sostenere lo sforzo dei loro editori per monetizzare la diffusione gratuita sul Web dei loro contenuti. Con scarso successo: per esempio quando gli editori spagnoli decisero di far chiudere il servizio di aggregazione di news di Google, videro crollare l’accesso ai loro contenuti online.

Il problema è che difficilmente una consultazione così tecnica sarà largamente partecipata dal pubblico: è più facile che alla fine ad esprimersi siano solo gli addetti ai lavori dell’una e l’altra sponda. Una battaglia a colpi di lobby e di attivisti, che riguarda però come noi potremo fruire i contenuti su Internet. Vale la pena quindi provare a fare luce sul nocciolo della questione: e cioè che con la rivoluzione digitale la proprietà intellettuale è cambiata e il tentativo di applicare le vecchie regole al nuovo scenario è insostenibile.

Lo spiega bene l’avvocato esperto di diritto digitale Guido Scorza nel suo blog, secondo cui le istituzioni europee sbagliano a perseguire la strada di una link tax. Innanzitutto perché il diritto d’autore non c’entra quando si tratta di un link o una citazione: semmai invogliano a cliccare il contenuto che l’editore mette a disposizione in Rete. Poi perché i contenuti degli editori, sotto il profilo del diritto d’autore, non hanno nulla di diverso rispetto a quelli creati dai miliardi di cittadini-utenti della Rete: se si riconosce per legge un diritto in più ai primi, lo si deve fare anche ai secondi, che sono – appunto – miliardi. Quindi se Google dovesse chiedere, per legge, permesso agli editori prima di indicizzare i loro contenuti e pagarli, dovrebbe chiederlo anche a tutti i cittadini della Rete. E pagarli. Non solo: gli stessi editori dovrebbero, per legge, chiedere il permesso e pagare altrettanto ogni volta ripubblicassero sulle loro pagine link e citazioni altrui. Tutto questo darebbe tantissimo lavoro ad avvocati come Scorza, ma sarebbe un incubo per chi fa informazione e impresa. Resta da immaginare come gli editori possano monetizzare i loro contenuti digitali. Ma questo è un altro discorso. (fonte)

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