Finto malato licenziato per foto su Facebook

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Il profilo sul social network ritrae il dipendente al mare e in discoteca ma al lavoro aveva detto che era malato. Così il Tribunale del Lavoro dà ragione al datore di lavoro, l’azienda di rifiuti del Comune di Napoli. Aveva un record di 505 giorni di assenza dal lavoro in 3 anni.

La prova regina è contenuta su Facebook. L’operatore ecologico non va a lavoro perché malato. Ma il suo profilo sul social network lo ritrae al mare e in discoteca a Ischia. Licenziato da Asìa, azienda di rifiuti del Comune di Napoli.

La condotta addebitata è stata desunta da foto pubblicate su Facebook“, è scritto nella sentenza di 4 giorni fa con cui il Tribunale del lavoro dà ragione alla società di Palazzo San Giacomo. Tempi duri per i “fannulloni” in Asìa. Licenziamenti triplicati negli ultimi 4 anni, provvedimenti disciplinari schizzati del 30 per cento. E ora per combattere l’assenteismo la partecipata presieduta da Raffaele Del Giudice ricorre anche a strumenti moderni: dopo il badge elettronico arrivano i controlli su Facebook. A farne le spese a settembre è un netturbino assunto nel 2012, R. B., un record di 505 giorni di assenza dal lavoro in 3 anni.

La storia si ripete in pieno agosto. “Nei giorni 15, 17, 21 e 23 agosto 2014  –  scrive Marcello D’Aponte, l’avvocato di Asìa  –  pur avendo dichiarato di essere in malattia producendo apposita attestazione medica relativa al periodo dal 14 al 26 agosto 2014, è risultato, in particolare nei giorni 15, 17, 21 e 23 agosto, aver invece frequentato locali pubblici dell’isola di Ischia soggiornando in tali date presso lidi balneari, bar e discoteche, mostrandosi e compiendo attività del tutto incompatibili con il dichiarato stato di malattia”.

A settembre Asìa invia una contestazione disciplinare al dipendente. E poi lo licenzia per “scarso rendimento e senso del dovere, con una sostanziale inaffidabilità del lavoratore“. E con l’aggravante che l’operatore è inserito “in un’azienda di rilevanza pubblica che gestisce un servizio per la città”. I precedenti per lui non mancano: “assenze ingiustificate” già l’anno prima con foto alle Maldive sempre recuperate da Facebook.

Il netturbino si rivolge al tribunale ravvisando “una sanzione sproporzionata alla colpa” e invocando soprattutto “la riservatezza delle foto pubblicate”. Per il giudice Roberta Manzon “il diritto alla privacy non può trovare tutela nella fattispecie” perché “le foto sono state autonomamente pubblicate dal lavoratore sul proprio profilo Facebook, che, in quanto pubblico, è perciò visionabile da chiunque acceda alla rete internet“. (fonte)

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