Anche la natura digitale fa bene alla salute

Sono il surrogato dell’ambiente esterno, il metadone della nostra dipendenza dall’interazione con la natura. Per questo ci piacciono e ci appassionano: i documentari, i parchi cittadini ma anche videogiochi che ci permettono di esplorare ambienti “naturali”, come boschi, giungla o montagne. Sono un surrogato dell’esperienza all’aria aperta dal quale siamo attratti inconsapevolmente per via della “biofilia”. È il termine che l’attrazione verso l’ambiente che secondo i neuroscienziati ha base genetica. Si manifesta con il bisogno di interagire con altre specie animali (da qui, secondo gli scienziati, l’amore per cani e gatti “addomesticati”) e con l’ambiente naturale: dal giardinaggio alle passeggiate nei boschi fino alla scelta di foto naturalistiche come sfondi del Pc.

Il collegamento tra ambiente e benessere psicologico è in realtà noto da tempo. Numerosi studi sottolineano il collegamento tra l’interazione con l’ambiente naturale e la salute psicofisica: interagire con l’ambiente naturale aiuta a ridurre i livelli di stress, previene la depressione, ricarica le batterie della nostra mente e ci aiuta persino a guarire da ferite e malattie. Invece, vivere sempre in città senza andare mai ad esempio a passeggiare in un bosco o lungo una spiaggia aumenta ansia, depressione, sentimenti di torpore, disperazione, dolore astratto, senza cause concrete.

È questo il motivo per cui a partire dall’Ottocento vennero costruiti i grandi parchi cittadini aperti alla sempre più numerosa popolazione urbana sia nelle città europee che soprattutto in quelle nordamericane. Il Prater di Vienna, le Cascine di Firenze, Central Park a New York erano in un certo senso dei giganteschi centri di benessere per la popolazione inurbata, che aveva perso il contatto con la campagna e aveva bisogno di un po’ di verde in cui passeggiare per non perdere il senno. Non a caso è nel 1897 che il padre della sociologia, il francese Emile Durkheim, scrive Anomia e suicidio, spiegando le ragioni del suicidio senza causa apparente (amore, depressione, fallimento, senso dell’onore) che colpiva gli individui che non si integravano nella società industrializzata delle nascenti grandi città con la mancanza del rapporto con la campagna e della società rurale da cui provenivano. La crescita della popolazione urbana, che secondo l’Onu nel 2050 supererà la soglia del 70%, pone in altri termini il problema che, tuttavia, rimane in fondo sempre lo stesso, dalla nascita delle grandi metropoli ottocentesche a oggi.

Una soluzione che sta emergendo spontaneamente però è quella della “natura tecnologica”: documentari televisivi, videogiochi e domani simulazioni con la realtà virtuale. I gusti del pubblico privilegiano sempre più quei contenuti o modalità di interazione che permettono di soddisfare la nostra biofilia, il nostro gusto per l’ambiente, un vero e proprio appetito di esperienze naturali. Dalle ricerche ed esperimenti condotti nel 2008 dal laboratorio Human Interaction with Nature and Technological Systems (HINTS) della università di Washington guidato da Peter Kahn è emerso che, se ogni giorno abbiamo la possibilità di vedere un ambiente esterno attraverso un televisore a muro da 50 pollici, una finestra virtuale” sul luogo di lavoro, il benessere psicologico aumenta in maniera registrabile anche se gli impiegati sono consapevoli che la scena non è reale.

Ecco dunque che i migliori documentari della BBC, quelli più visti e più scaricati, sono quelli che mostrano ambienti naturali, parchi e foreste incontaminate, spiagge e isole tropicali. Nel 2016 il record è stato di Earth II sul canale britannico, lo stesso accade anche negli altri paesi industrializzati. E non c’è solo l’aspetto televisivo. Legend of Zelda: Breath of the Wild e Horizon Zero Dawn sono due giochi in cui l’esplorazione libera di ambienti virtuali che rappresentano foreste e montagne fa parte della meccanica di gioco e ne è, secondo i ricercatori, uno dei principali motivi di successo. Si gioca per recuperare inconsciamente il rapporto perduto con la natura: viaggiare nei boschi digitali di Hyrule è, insomma, terapeutico.

Ma scegliere i videogiochi, oltre alla televisione, come surrogato dell’esperienza della natura non è solo tutte luci: ci sono anche le ombre di una vita passata davanti allo schermo, senza sperimentare sul campo cosa voglia dire camminare in un prato, toccare gli animali, arrampicarsi su una montagna. «I videogiochi sono divertenti – dice alla rivista online Quartz Wade Davis, autore di documentari per il National Geographic e appassionato esploratore di località esotiche – però consigliare a giovani e giovanissimi di immergersi in realtà virtuali anziché nella foresta vera e propria non è corretto. Con la tecnologia si possono creare infinite possibilità che poi diventano il riferimento di che cosa succede in natura. Ma non sono vere: le cose vere non sono quelle».

Il futuro vede però un aumento della tecnologia immersiva: realtà aumentata e soprattutto realtà virtuale sono oggi in fase di rapida evoluzione e tra pochi anni – uno o due al massimo secondo gli esperti – saranno abbastanza mature da diventare l’esperienza di riferimento per tantissime persone che vivono in città e non hanno la possibilità di sperimentare un ambiente naturale in prima persona. «Invece – dice Kahn nella sua ricerca – dovrebbe essere vero esattamente il contrario: tutti dovrebbero sperimentare la bellezza e l’energia della natura in prima persona e la tecnologia dovrebbe essere solo un bonus, un’aggiunta per dare ancora più profondità all’esperienza naturale e non sostituirla».  (fonte)

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