A rischio la neutralità della rete

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Fa discutere la proposta americana di introdurre una corsia preferenziale per i contenuti a pagamento: una norma che potrebbe cambiare – in peggio – il nostro modo di usare internet. Ecco perché

Mentre il Brasile adotta un documento, il Marco Civil, con cui si ribadisce, fra altri punti, l’irrinunciabilità della cosiddetta “neutralità della Rete”, ovvero la possibilità per chiunque di accedere, a fronte di un abbonamento o di un canone, agli stessi tipi di contenuti, indipendentemente dalla quantità di banda consumata online, gli Stati Uniti sembrano avviarsi in direzione opposta.

 Le indiscrezioni

Secondo indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, la Federal Communications Commission, l’ente che negli Usa regolamenta il settore, sarebbe pronta una bozza di legge in base alla quale i fornitori di connettività potrebbero fornire corsie preferenziali, a pagamento, ad alcuni produttori di contenuti, purché nell’ambito di accordi “commercialmente ragionevoli”. Cosa si intenda con quest’ultima espressione verrebbe meglio precisato a seguito di una consultazione con tutti i soggetti interessati, prima dell’emanazione del decreto vera e propria, e in seguito, lo deciderebbe, caso per caso, la stessa Fcc. Quasi a dare un contentino ad attivisti e sostenitori delle libertà digitali, immediatamente insorti, ai provider verrebbe però impedito di rallentare o impedire del tutto l’accesso ai siti non paganti. In molti, hanno ricordato come Tom Wheeler, l’attuale presidente della Commissione e fautori della proposta, prima di essere nominato da Barack Obama al suo nuovo incarico, fosse stato in passato un lobbista per conto delle grandi società di telefonia e fornitura di servizi via cavo. “Circola troppa disinformazione – ha replicato lo stesso Wheeler, rispondendo alle critiche – la proposta non modifica gli obiettivi di fondo di trasparenza, non implica il blocco di contenuti legittimi e non prevede nessuna irragionevole discriminazione fra gli utenti”.

 Un passo indietro

Una difesa che ha lasciato insoddisfatti molti, a partire dall’ex capo della Fcc, Michael Dobbs. “Se è vero, si tratta di un enorme passo indietro e la proposta va fermata – ha detto quest’ultimo, scordandosi però forse che era stata la precedente dirigenza a lasciare una porta aperta alla discriminazione, con una formulazione direbbe qualcuno “criminosa” di un provvedimento del 2010 battezzato “Open Internet Order”.

Affinché il provvedimento che doveva garantire la “neutralità” della Rete reggesse, la Commissione all’epoca avrebbe dovuto classificare come “telecommunications services”, quindi soggetti alla sua giurisdizione, anche quelli che oggi invece appartengono alla categoria degli “information services” – Twitter, Google e tutti quei servizi che si appoggiano sulle infrastrutture telematiche per essere erogati. Ma questo non fu fatto ed ebbero buon gioco gli operatori, Verizon in testa, a ribaltare in tribunale la decisione. Ora la proposta di Wheeler è al vaglio della commissione, e una prima versione ufficiale del provvedimento – da sottoporre al giudizio dei soggetti interessati e del pubblico, è prevista per metà maggio.

 Che cos’è la “Neutralità della Rete”

Esistono varie definizioni di quest’espressione ma generalmente, quando la si adopera, ci si riferisce al fatto che tutti i tipi di “pacchetti” di dati trasmessi online, vengono trattati allo stesso modo da chi fornisce il servizio di connettività, indipendentemente dal tipo di traffico, si tratti cioè di video, email, semplice navigazione Web, o altro. La differenza nel consumo di banda è a carico di chi vuole offrire il servizio, ed è compresa nel canone base. Altre definizioni, come quella di Tim Berners-Lee, mettono invece l’accento sulla “neutralità” dei protocolli usati per comunicare, che devono far riferimento a modalità di interazioni universali e non proprietarie e poter essere adoperati da tutti.

 Perché è controversa

Per teorici del Web come Lawrence Lessig, la neutralità della Rete (nell’accezione più comune) è il fondamento stesso di Internet così come la conosciamo oggi. È ciò che ha permesso il fiorire di una molteplicità di applicazione e servizi che adoperano il Web come piattaforma. Minare tale situazione significherebbe dar vita a un’Internet elitista e poco democratica, dove solo chi ha la possibilità di pagare abbastanza, riesce ad aver spazio. A rimetterci, oltre ai consumatori, sarebbero le piccole imprese e le startup, che, in mancanza di fondi, non potrebbero accedere agli stessi servizi disponibili ai grandi operatori. I sostenitori di un accesso differenziato, sostengono invece che non dare la possibilità alle grandi società di telecomunicazioni di applicare tariffe diverse sulla base degli investimenti necessari, significherebbe invece danneggiare la ricerca e l’innovazione e si tradurrebbe in ultima analisi, in minori opportunità di scelta per gli stessi consumatori. Fanno notare inoltre che in parte, la discriminazione tariffaria esiste già, con grandi società come Google, Apple o Facebook che pagano già canoni ad hoc per poter far viaggiare i propri dati in maniera più veloce e sicura sulla grande Rete.

 Cosa cambierebbe con la nuova proposta

Al momento siamo ancora allo stadio delle supposizioni. Da giovedì scorso circola alla Fcc una bozza per uso interno, ma non è stata ancora resa pubblica. Ci si basa perciò su quanto riportato dai giornali Usa. Se la linea dell’”uso commercialmente ragionevole” prevalesse è possibile che in un primo tempo i consumatori Usa non notino eccessive differenze nella propria esperienza d’uso. Si porrebbero però parecchi problemi nel caso di introduzione di nuovi servizi o nuove tecnologie particolarmente sofisticate che potrebbero essere resi disponibili dagli operatori solo dietro pagamento di canone “premium”. Potrebbe cioè introdursi una nuova forma di “digital divide”, non più causata da una mancanza di investimenti in infrastrutture, ma da un eccesso di investimenti in servizi di alta fascia, a scapito di quelli di base. Un po’ come avviene in Italia con i treni ad alta velocità e quelli per i pendolari. (lastampa)

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