1 ora di streaming a settimana consuma più di 2 frigoriferi

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Un universo che si espande senza sosta, alimentato dai dati creati, utilizzati e richiesti ogni giorno – anzi, ogni secondo – da industrie, pubbliche amministrazioni, ospedali, banche e centri di ricerca, ma anche e soprattutto dagli utenti, cioè da ciascuno di noi. Un universo che ci semplifica la vita e di cui non riusciamo a fare a meno, e che, nonostante il suo aspetto apparentemente immateriale, inquina parecchio. Anzi, sempre di più.

I DATA CENTER

Dalla produzione dei sempre più numerosi apparecchi connessi a internet alla loro ricarica, dalla creazione della rete su cui viaggiano i dati fino all’alimentazione degli enormi archivi in cui vengono custoditi: internet ha continuamente bisogno di elettricità. A succhiarla sono soprattutto i data center: biblioteche virtuali di file che necessitano di enormi quantità di energia per essere alimentate, raffreddate, monitorate.

Greenpeace ha segnalato che se nel 2012 i data center consumavano il 15 per cento dell’energia totale dell’intero comparto ICT (cioé delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni), entro il 2017 la percentuale salirà al 21 per cento, scalzando in importanza il fabbisogno energetico delle reti. In termini assoluti, tra 2008 e 2013 il consumo di energia dei data center è già quasi raddoppiato, tanto che oggi, in media, «le case editrici consumano più energia per alimentarli che per stampare i libri in tipografia».

Il senso è chiaro: più dati produciamo – o desideriamo avere sempre a portata di mano grazie al cloud – più abbiamo bisogno di spazio di archiviazione, cioè di data center. I dati, però, aumentano senza sosta. La colpa? Soprattutto nostra: stando a IDC, già nel 2012 il 68 per cento dei dati era prodotto e consumato dagli utenti.

QUANTO INQUINA LO STREAMING

Il primato del dispendio energetico va ai video, soprattutto se in alta qualità: sono loro a occupare più spazio nei data center. Secondo i dati di Cisco, nel 2014 i filmati erano responsabili del 64 per cento del traffico internet prodotto dagli utenti, ma entro il 2019 – complice la crescita continua di servizi come YouTube e Netflix – arriveranno a sfiorare l’80 per cento. Con conseguenze non da poco per l’ambiente: basti pensare che se ci concediamo un’ora di streaming a settimana in un anno consumiamo quanto due frigoriferi nello stesso arco di tempo.

Noi vediamo solo la batteria del nostro pc che si scarica, ma ogni volta che facciamo partire una puntata della nostra serie tv preferita diamo il via a una catena di consumo energetico che inizia nel nostro salotto e finisce a chilometri e chilometri di distanza, nel data center. Ma di quanta elettricità si sta parlando? Non poca, nonostante i continui sviluppi tecnologici che rendono i data center più efficienti. Secondo un report di Digital Power Group «una sola rastrelliera di server grande più o meno come un frigorifero ha bisogno di più energia di un’intera casa».

LA NUVOLA? FUNZIONA A CARBONE

Gli alti consumi elettrici, di per sé, non sono un problema per l’ambiente. Lo diventano solo se l’energia viene prodotta in modo poco verde. Ed è ancora così. I dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia dimostrano che il 41 per cento dell’energia elettrica mondiale è prodotta dal carbone, contro il 22 per cento delle fonti rinnovabili (dati 2013).

In Europa la situazione è leggermente diversa. Stando all’Agenzia Europea de ll’Energia, nel 2013 le fonti principali di produzione dell’energia elettrica sono state il nucleare (27 per cento) e le rinnovabili (27 per cento), ma il carbone è comunque al terzo posto (26 per cento). E se nell’Unione Europea l’uso del carbone è in calo (nel 1990 era la prima fonte di energia elettrica), altrove non è così: oggi in tutto il mondo se ne usa 2,8 volte la quantità che del 1973. Il carbone è il più inquinante di tutti i combustibili fossili, perché bruciando produce più anidride carbonica rispetto a gas naturali e petrolio.

Se i data center vengono alimentati soprattutto con energia prodotta in questo modo, il loro consumo energetico crescente si trasforma in sempre più emissioni nocive. «Il cloud comincia con il carbone», titola un report sul consumo elettrico dell’ecosistema digitale. È vero, e non è una buona notizia. Per l’ambiente, certo, ma anche per noi: secondo la Health and Environment Alliance le emissioni nocive delle centrali a carbone provocano ogni anno 23mila morti premature nella sola Europa.

SE I GIGANTI TECH POSSONO FARE LA DIFFERENZA

Ma un internet verde, secondo Greenpeace, è possibile. Basta volerlo. Anzi, basta che lo vogliano le aziende giuste. Il comparto tecnologico è uno dei maggiori clienti dei provider di energia elettrica, e questo mette i giganti del tech in condizione di fare la differenza. Del resto, passare alle rinnovabili conviene anche a loro, e non solo per una questione d’immagine: l’elettricità è una delle voci più importanti nei bilanci di queste società, e in molti casi quella verde è più economica. Lo ha detto anche Tim Cook nel 2015, spiegando i motivi per cui Apple ha deciso di investire nelle energie rinnovabili: «Lo facciamo perché è la cosa giusta, ma anche perché finanziariamente conviene».

Nel 2011 Facebook è stata la prima società a impegnarsi per rendere più sostenibili i propri consumi energetici. L’obiettivo è alimentare i data center del social network (che rappresentano il 95 per cento dei suoi consumi energetici totali) con almeno un quarto di energia verde. Il percorso è accidentato: basta vedere l’ultimo report di sostenibilità, secondo cui dal 2013 al 2014 la quota di energia derivata dal carbone usata da Facebook è rimasta stabile al 34 per cento. L’impegno però c’è: lo dimostra il data center che il social sta costruendo a Fort Worth, in Texas, che sarà alimentato esclusivamente con energia proveniente da fonti rinnovabili.

IL CLOUD DI AMAZON? ANCORA POCO VERDE

Anche Apple marcia a passo sostenuto verso l’obiettivo del 100 per cento di energie rinnovabili – Greenpeace promuove i suoi sforzi a pieni voti – e lo stesso fa Google . Microsoft procede con meno decisione, ma la prestazione più deludente è quella di Amazon, a cui il report di Greenpeace assegna punteggi bassi quando si tratta di valutare i suoi progressi nell’ambito delle energie rinnovabili. La questione non è da poco, però, perché tramite Amazon Web Services (AWS) il colosso dell’e-commerce fornisce l’infrastruttura digitale a molte note aziende del web, come Netflix, AirBnb e Slack.

Nel 2012 la società di sicurezza Deepfield ha stimato che ogni giorno circa un terzo degli utenti si serve di almeno un servizio web basato sugli archivi digitali targati AWS. Il segreto di questo successo? I prezzi competitivi. Secondo la giornalista americana Ingrid Burrington, Amazon ha reso «lo spazio nel cloud una merce spaventosamente economica», facilitando così l’esplosione di decine di startup. La sua nuvola, però, funziona ancora soprattutto di carbone. Dopo la pubblicazione dell’ultimo report di Greenpeace, Amazon ha annunciato forti investimenti nel fotovoltaico in Virginia e ha ribadito il proprio impegno ambientalista. L’obiettivo è arrivare ad alimentare i data center targati AWS con almeno il 40 per cento di energia green entro la fine del 2016. Intanto, però, i dati che necessitano di spazio di archiviazione aumentano del 25 per cento ogni anno e sembrano destinati a crescere a un ritmo sempre più sostenuto. I giganti del tech riusciranno a stare al passo? (fonte)

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